L’associazione tra musica e viaggio è quasi immediata e universale, ma in alcuni casi è da intendersi non solo come il volo pindarico che le note possono far fare alla fantasia, ma proprio come canzoni figlie dell’esperienza che un viaggio può dare, delle emozioni, delle vibrazioni che ogni terra sa regalare. In questo caso il viaggio ci porta mano nella mano in Andalusia, con tutti quei suoni caldi, gitani arabeggianti, portando sempre in valigia, o meglio nel cuore, la bossa nova che come Sergio Cammariere stesso dice, ti rimane nel sangue. Non perdete allora questo viaggio pregno di emozioni e sensazioni, il nuovo disco firmato Sergio Cammariere, uno degli autori più poetici del panorama musicale italiano, che torna con un nuovo disco dal titolo Mano nella mano.
Come descriveresti a parole, se puoi, Mano nella Mano?
«Io ogni volta che faccio un album diciamo che scrivo delle canzoni nuove penso sempre ad un disco che possa regalare momenti di tranquillità di riflessione, attraverso questo disco voglio dire che questo mondo complesso non ha frontiere, non si tratta solo del dovere di accogliere ma di acquisire la consapevolezza di una fratellanza. Diciamo che Mano nella mano racconta il potere salvifico della musica».
Cosa ha di diverso dai tuoi precedenti lavori?
«Questo è uno dei miei migliori per il raggiungimento di un suono che cercavo da tanto tempo. Questo suono è pervaso da una calma che nei miei precedenti lavori non trovavo. E’ stato un raggiungimento corale, oltre ai musicisti anche grazie al mio fonico che mi segue da 2002, e poi ci sono delle canzoni a cui sono molto affezionato, Mano nella mano ma anche Quel tipo strano, sopratutto le canzoni che ho scritto con Roberto Kunstler, ci sono stati mesi e anni di lavoro prima di arrivare alla conclusione».
Mi sembra di aver ascoltato una certa malinconia, ma anche voglia di evasione ricorrente nel disco, sia in alcuni testi che dal mood musicale, sbaglio?
«Diciamo che è un viaggio musicale come anche il video, è un viaggio, una metafora; si avverte questo bisogno di speranza di avvicinamento alla natura, più abbracciamo la natura e più acquisiamo una consapevolezza, di laicità spirituale».
Una volta si parlava di concept album quando i dischi aveva diciamo un filo conduttore, si può dire che il live motive di Mano nella Mano siano le relazioni umane?
«Questo certamente, perché nei testi traspare proprio questa condizione, questa sensazione. Non a caso ho voluto coinvolgere tanti autori, a parte Roberto Kunstler che è mio fratello coautore dal 1992, c’è Saverio Grandi, c’è Giulio Casale, c’è l’omaggio a Bruno Lauzi con un testo perfetto.»
Tra tutti i pezzi del disco io personalmente sono rimasto molto colpito da “Quel tipo strano”, mi racconti a parole questo pezzo?
«In effetti, a parole i pezzi non si dovrebbero mai spiegare, perché se ti danno una emozione, se ti toccano se ti arrivano è perché al loro interno c’è una essenza che passa nonostante la vibrazione dell’ascolto, c’è qualcosa che tocca l’anima; nel caso di quel tipo strano è un componimento metrico che è stato scritto nel 1992 da Roberto Kunsteler , io ho avuto per più di 20 anni questo foglio con queste parole bellissime, diciamo che poi abbiamo adattato questa poesia di Roberto ad una musica che mi è venuta che mi è arrivata.»
Nel disco hai scelto di inserire un pezzo strumentale, mi racconti come nasce questa idea e perché il titolo Pangea?
«Pangea è intanto l’incontro di due anime musicali, la mia e quella di Roberto Salis, ma ecco Pangea era l’unica terra emersa, che non aveva confini se non un unico mare, il video è stato girato in Sardegna che pare sia una delle prime terre emerse; diciamo che Pangea, come Atlantide, ha sempre un significato metaforico, il titolo è venuto dopo che l’abbiamo inciso, si può dire che questo pezzo racchiude tutto il senso di Mano nella Mano, un disco che comunque nasce da suggestioni di viaggi che ho fatto fisicamente in Andalusia, sopratutto quando mi sono reso conto che l’africa era così vicina, ma proprio vicina come sullo stretto di Messina e li ho iniziato a pensare alla condivisione alla speranza di poter abbracciare un mondo migliore, un mondo possibile migliore. Diciamo che con questo pezzo si vuole esaltare il concetto di bellezza e di convivenza.»
Nel disco ci sono partecipazioni molto illustri sia di musicisti sia nei testi, una fra tutte c’è un testo di Bruno Lauzi, come hai messo insieme tutte queste personalità e quando si ha a che fare con tanti nomi e sensibilità illustri come si arriva poi ad un risultato così omogeneo?
«Diciamo che il nostro compito è proprio quello di raccogliere e di non cestinare mai musiche, invenzioni, strofe, ritornelli che vengono messe da parte e poi vengono riutilizzate; è chiaro che in due anni era quasi impossibile poter fare un album così omogeneo, ma il mio mestiere è quello di archiviare più musica possibile e sopratutto conservare le mie invenzioni al pianoforte e ogni volta che faccio un viaggio io registro e attraverso queste registrazioni poi riesco a collocare pezzi diversi. C’è stato un lavoro comunque certosino sopratutto rispetto ai testi per limare proprio parola per parole.»
Rispetto a qualche anno fa oggi gli artisti hanno molta più facilità ad avere un contatto diretto con i propri fan tramite social network e quant’altro, tu come ti relazioni a questi mezzi e al rapporto diretto con chi ti ascolta?
«Esiste uno zoccolo duro di miei fan anche se preferisco definirla una famiglia allargata, oltre ai musicisti ci sono anche loro e ci sentiamo costantemente. E’ accaduto qualcosa di eccezionale in questo periodo, attraverso la pagina ufficiale di facebook è nata spontaneamente una cosa incredibile, una specie di catena che non mi aspettavo, tutte le persone si sono volute fare un selfie con il disco in mano e una di queste persone ha voluto fare un video con la canzone “Ed ora” solo con tutte le immagini delle persone che hanno acquistato il disco e questa era una cosa impensabile fino a qualche anno fa. Dai social network ci sono bellissime dimostrazioni di affetto che fanno si che questo mio viaggio possa ancora continuare.»
Ci tornerebbe al festival di San Remo?
«Bhe, se mi chiamano e avessi la canzone pronta… non lo so, il festival è la nostra vetrina più importante, chi va al festival porta a casa sempre un risultato comunque vada. Io sono affezionato ai festival di Baudo, per la loro nomenclatura, forse perché sono affezionato al vecchio varietà, già la musichetta di Pippo Caruso “perché Sanremo è Sanremo”, mi riportava ad un colore ad un sapore ad un qualcosa che negli ultimi festival non so se c’è, si sta trasformando tutto in una specie di gara che somiglia sempre di più ad un reality e credo che non faccia bene tutto questo alla musica.
Secondo me la mancanza di un direttore artistico che scelga le canzoni si sente, sfido tutti a ricordare 3 titoli di canzoni che hanno partecipato al festival, è un problema di cultura e di qualità di quello che passa nei media oggi. Io ho fatto la grande gavetta, per arrivare al successo ci ho messo 40 anni e quando è arrivato il successo non ha per nulla cambiato il mio modo di stare con il pubblico e il successo è arrivato anche grazie al festival per cui al di la delle critiche, saremo è sempre Sanremo, se mi chiamassero non esiterei a tornarci.»