Sarà disponibile dal 7 maggio il nuovo progetto discografico di Vasco Brondi: Paesaggio dopo la battaglia. Nella prima tiratura limitata, la versione LP avrà il vinile trasparente mentre il CD sarà accompagnato dal libro Note a margine e macerie del cantautore veronese, classe 1984.
La copertina del disco è una fotografia di Luigi Ghirri. Ecco la tracklist: 26000 giorni, Ci abbracciamo, Città aperta, Passaggio dopo la battaglia, Mezza nuda, Due animali in una stanza, Adriatica, Luna crescente, Chitarra nera, Il sentiero degli Dei.
Ecco come lo stesso Brondi, durante la conferenza stampa di presentazione dell’album, ne spiega la genesi: «Dopo un lungo periodo senza toccare una chitarra, mi sono rimesso a scrivere mentre il mondo che conoscevo cambiava radicalmente. Ne è uscito un disco di racconti per voci e cori, per orchestra e sintetizzatori. In realtà, adesso che l’ho registrato, sto cercando di capirlo. Scopro di non avere una carica decisionale sulle mie canzoni. In ogni brano c’è qualcuno che ricerca fiduciosamente, anche in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, le leggi delle città e dell’universo intero. Dopo la battaglia c’è una pace incerta, piena di ferite e di sollievo, C’è qualcuno che chiama un nome tra le macerie e qualcuno che risponde». E prosegue: «La canzone “Paesaggio dopo la battaglia” ho notato che poteva essere un ideale contenitore di tutte le altre. Sempre combattiamo battaglie personali e collettive, intime ed universali ed anche i paesaggi intorno a noi possono mutare. Ci rendiamo conto che possiamo non soccombere se ci mettiamo di impegno puntando sulla nostra forza di volontà. La copertina del disco mostra un bambino che esce da una nuvola nera ed anche l’Italia ha grandi capacità per risorgere. Le atmosfere rarefatte che fanno da sfondo mi hanno portato a Ferrara, alla Bassa del Po, ai racconti epici di Fenoglio sui partigiani e ai rider che sfrecciavano sui loro motorini nelle nostre città durante il periodo più stretto del lockdown. Ho ripetuto come un mantra a me stesso una frase contenuta nel brano 26000 giorni, questa: “siamo qui per rivelarci, non per nasconderci”. Avevo voglia di liberarmi, di volare leggero, di seguire una precisa direzione e di non stupire soltanto. Spero di esserci riuscito, di essere stato autentico. Ho cercato di inserire anche una componente sacra, spirituale, mistica affermando che noi uomini non siamo superiori a nessuna specie vivente. La musica è il fuoco per scaldarsi. Ci ho messo troppo tempo a scrivere quest’album non perché avessi un blocco di scrittura ma perché avevo bisogno di tanto silenzio, di tanta concentrazione. Non è stata una scelta perché questo è l’unico modo per fare il mio mestiere. I brani forse a cui sono più legato sono “Chitarra nera”, “Il sentiero degli dei”, “Due animali in una stanza” che celebra non la fase dell’innamoramento e neppure quella della fine di un amore ma la parte centrale, quella che Ungaretti definiva “la quiete accesa”. Le sonorità del disco fanno anche riferimento al liscio e non è un caso che Moreno il Biondo mi abbia aiutato negli arrangiamenti».
È poi la volta delle domande da parte dei giornalisti accreditati.
Ho apprezzato soprattutto il brano Chitarra nera che parla di un amore per un amico. Il protagonista del video è un grande attore Elio Germano. Pensi che ogni brano ricalchi delle brevi sceneggiature?
«Ho iniziato la pratica di riprendere la scrittura come un intimo bisogno di condividere tutto quello che provo attraverso una più approfondita conoscenza di me stesso. Penso che la scrittura debba considerarsi come un grande anticorpo per guarire, per fare luce su se stessi. Prima ero disilluso e mi sembrava inutile scrivere. Durante il lockdown ho ascoltato tanta musica, soprattutto quella non commerciale, quella non inquinata dal mercato. E penso che nelle mie nuove canzoni si senta l’eco di ciò che ascoltavo. Penso anch’io che ogni canzone sia come un film, un soffio di vita, un amore incondizionato per i dettagli perché proprio questi ci rendono più umani in quanto spesso si contraddicono. Purtroppo noi abbiamo introiettato un sistema produttivo legato alla macchina e ci sentiamo in colpa se non produciamo. Penso che invece bisogna rispettare i tempi della natura».
Il brano Città aperta mi ha fatto pensare al film di Roberto Rossellini Roma città aperta. Volevi davvero riferirti al padre del neorealismo cinematografico?
«No, mi spiace deluderti, non c’è nel brano nessun riferimento al film che tuttavia fa parte del nostro DNA. Città aperta parla di un uomo e la sua battaglia di lasciare Parigi per ritornare sui colli Euganei».
Quanto ha influito sul disco la pandemia?
«Poco perché penso che non bisogna scrivere nulla quando si è troppo coinvolti emotivamente. Devo sedimentare questa esperienza e poi molti brani sono stati scritti prima del lockdown».
Qual è il tuo rapporto con i social?
«Ho con loro un rapporto controverso. Mi rendo conto che servono e scrivo parecchio ma non le cose che mi riguardano direttamente perché sono una persona molto riservata. Mi chiedo: posso investire più tempo a usare i social come mezzo espressivo? Non so rispondere ancora a questo interrogativo».
Come fai a conciliare il tuo aspetto introspettivo con le tue uscite musicali che appartengono ad un mondo frenetico, urlato?
Vasco:” Per molto tempo, infatti me ne sono allontanato. Seguo un po’ il ritmo delle stagioni cercando un mio equilibrio. Dobbiamo approfittare dei 26000 giorni di media che ci regala la vita!”.
In questo tuo ultimo disco compare un senso di sacro e di empatia universale. Ritieni che sia veramente così?
«Mi fa piacere che tu li abbia entrambi colti. Mi ripeto spesso una frase di Picasso: “L’arte deve togliere la polvere dei giorni”. Il cuore incandescente del pianeta lo ritroviamo in noi, nelle piante, negli animali, nell’armonia del creato. Noi esseri umani, follia, ci sentiamo superiori perché magari abbiamo scritto la Divina Commedia ma un uccello è superiore a noi perché sa volare. E quindi mi chiedo: superiori a chi, a che cosa?».
Cosa lega l’esperienza Le luci della città elettrica al Vasco di oggi?
«Quando ho chiuso quel progetto volevo fare qualcosa di leggero ed uscirne alleggerito. Questo cambio anche di nome è stato sostanziale. Non mi sento più obbligato a stupire se non me stesso e anzi, essere sempre me stesso. Ho visto il docufilm su Paolo Conte . È questo il mio punto di riferimento».
Come concili il fatto che sei contro la pubblicità, in generale ma poi promuovi le vendite del disco?
«Io mi sento come una persona che sta condividendo le cose che ha fatto e non colui che pubblicizza il suo disco. Il termine migliore da usare è quello di promozione».
Che ne pensi del discorso di Fedez durante il concertone del Primo Maggio?
«Fedez ha avuto il potere di avere una grande visibilità. Ho capito che la TV generalista ha un potere inferiore rispetto a quello della rete. Fedez va a riempire un vuoto della politica, soprattutto quella degli schieramenti di sinistra».
L’album è colto, raffinato e si intuisce che sottendono ad esso poesia, letteratura, filosofia. Condividi questo mio pensiero?
«Sono attento a tutto perché tutto può ispirarmi».
Qual è la tua battaglia personale?
«In primis le battaglie della nostra epoca e poi custodire il mio fuoco e aprirmi agli altri. Il contrario della pace è la paura. Quando ti esponi sei forte».