AcquaTerra è il primo album della band Emian PaganFolk. Raramente uno si ritrova ad ascoltare un disco dal mood di musica sognante, suggestiva, che superficialmente chiamiamo con il termine ‘celtica’, dal sapore irlandese/ scozzese. Vieni immediatamente catapultato in un’epoca da riti sacri o pagani, come l’invocazione nel brano Mother’s breath scritta da Anna e Emilio, magie e scienze esoteriche che abbiamo letto voracemente sui libri, o rapiti da un film, e quel suono dell’arpa ricorda la preparazione bellica e le gesta di eroi, come nel brano The last King’s march, che parla della storia del grande Re Irlandese Brian Boru. E gli ottimi arrangiamenti degli Emian PaganFolk proiettano la tua mente nell’età celtica, all’aperto, sotto una quercia sacra, impressionante trasmutazione epocale.
La band è composta da Aianna Egan, arpa irlandese, voce, Emain Druma, percussioni, violino, flauti, voce, Rohan, basso, bouzouki irlandese, cori, Máirtín Killian, batteria e percussioni, chitarra, cori.
Di questo meraviglioso album dal mordente sapore celtico, ne abbiamo parlato con Aianna Egan, Anna.
Com’è nato il vostro amore e la passione per la musica di tradizione celtica?
«La passione e l’amore per queste sonorità nascono in periodi diversi per ognuno di noi, a prescindere dal progetto Emian. Abbiamo suonato, a parte Martino, in precedenti formazioni che proponevano musica Irlandese e delle aree Celtiche con svariati approcci personali. Questo amore è stato rafforzato dal visitare queste terre: Bretagna, Irlanda, Galizia, viaggi iniziati per curiosità e per voglia di esplorare. Abbiamo ascoltato le session dei musicisti riuniti nei pub, visitato i luoghi più suggestivi, abbiamo parlato con la gente del posto. Siamo tornati a casa carichi di belle sensazioni che ci hanno spinto a continuare questo viaggio anche nel senso musicale e cercare più affinità con queste culture piuttosto che divergenze.»
Un quartetto, Emian, ben affiatato come vi siete conosciuti?
«Il progetto Emian nasce inizialmente come duo, dall’incontro mio (Anna) con Emilio. Ci siamo conosciuti in una bella giornata di Febbraio a CasaCuma (una comune di musicisti/artisti a Cuma (Na) in cui ho vissuto qualche anno fa) tramite degli amici. Ci siamo innamorati e stando insieme abbiamo deciso di unire le comuni passioni musicali in questo progetto che ufficialmente vede la luce il 21 Dicembre 2011, giorno del solstizio d’inverno. Il 17 Marzo 2013, giorno di San Patrizio, dopo esserci esibiti in un locale, abbiamo conosciuto Danilo. Già da tempo, tra me ed Emilio, si discuteva della volontà di ampliare o meno l’organico. Danilo non è capitato per caso, ecco. Anche lui condivideva lo stesso nostro interesse per le sonorità Irlandesi, Pagan Folk e Celtiche. La settimana successiva già faceva parte del progetto. Durante le riprese del secondo videoclip ufficiale, io ed Emilio abbiamo conosciuto Martino, vecchio amico di Danilo, che si è aggiunto alla band a Marzo di quest’anno (2014), periodo in cui avevamo deciso di ampliare la formazione con un quarto elemento.»
Mi spiegate il significato e il perché della scelta dei vostri nomi in celtico? E, naturalmente, quello del gruppo…
«La lingua dei nostri nomi è il Gaelico. La scelta è avvenuta per vari motivi, uno di questi è proprio il significato.
Aianna Egan: Aianna è propriamente Anna. Cercavo un nome che a livello sonoro racchiudesse un’universalità linguistica. Scritto in questo modo fa venire in mente molte lingue pur mantenendosi molto vicino ad “Anna”, mentre Egan è il nome della mia arpa, quella che suono durante i live, e vuol dire “fuoco” ma è anche il cognome di colui che viene considerato il padre della moderna arpa Celtica, John Egan.
Emain Druma: Emain non è altro che Emian con due vocali invertite ma è anche un luogo immaginario nella mitologia Irlandese, una sorta di paradiso. Si rifà all’idea che Emian non è solo un progetto musicale ma anche un luogo d’incontro, una grande famiglia che coinvolge noi e le persone che ci seguono e che condividono il nostro lavoro di musicisti. Druma vuol dire “tamburo” ed Emilio è, prima che violinista e polistrumentista, un percussionista.
Rohan: è un nome che Danilo porta con sé da molto tempo e vuol dire “rosso”, per via dei riflessi rossicci della sua barba, caratteristica ereditata dalla sua famiglia.
Maìrtin Killian: Maìrtin sta per Martino mentre Killian per “guerriero”. Martino per anni ha praticato le arti marziali, presumo che la scelta dipenda da questo.
Il nome Emian invece nasce dall’unione del nome mio (Anna) e quello di Emilio.»
L’album si chiama, AcquaTerra, due elementi naturali, due forze della natura, qual è il significato che date?
«Acquaterra è una dedica alla nostra terra, terra di ognuno di noi: Emilio viene dal Salento; io nasco a Napoli ma da molti anni vivo in Irpina e Danilo e Martino provengono dalla Valle Metelliana. Siamo abituati ad essere circondati da verde, fiumi, mari e monti, e questi elementi hanno contribuito a farci trovare il titolo. Ci siamo ispirati all’idea dei principi femminili che nel Paganesimo sono di importanza fondamentale in quanto portatori di vita, riconducibili alla figura della Dea Madre. L’acqua e la terra come elementi vitali e sostanziali per l’uomo. C’è il mare, grande mezzo di comunicazione tra i popoli, mezzo attraverso cui differenti culture si sono incontrate, scontrate e infine amalgamate creando unione più che divisione. C’è il richiamo alla Madre Terra, con la preghiera presente in Mother’s breath, e il richiamo alle danze liberatorie circolari e di gruppo di Dance in circle. Questo disco è Donna.»
Unico brano autografo in questo disco è Mother’s breath, secondo quale costruzione musicale l’avete scritto e a chi vi siete ispirati…
«Mother’s breath in realtà è l’unione di due brani della tradizione Irlandese, Richard Parker Fancy ed Eddy Kelly. L’idea di unirli è un principio che si ritrova spesso nella costruzione dei set della musica folk. Il set consiste nel mettere insieme due o più brani musicali che insieme creino un discorso musicale più ampio rispetto a quello del singolo brano. Di solito viene utilizzato questo principio per dare la possibilità al musicista folk non solo di esprimere la propria maestria nel mettere assieme diversi brani ma, nel caso delle danze, per fare in modo che i ballerini stiano più a lungo in pista, facendoli ballare su differenti tempi. In Mother’s breath l’unica parte autografa è rappresentata dal titolo e dall’invocazione Pagana, cantata durante il brano, scritta da me ed Emilio. Ciò che ci ha ispirati è stata la volontà di far venire fuori il sentimento di unione con la Natura.»
Com’è avvenuta la selezione dei brani? Visto che c’è un’enorme scelta? Siete legati a qualche brano in particolare?
«La lavorazione iniziale del disco prevedeva più brani. Durante il percorso di registrazione abbiamo cercato di capire quale tra quelli incisi fosse più in linea alla tematica del disco. Essendo AcquaTerra un concept album abbiamo individuato un discorso da proporre, storie di terra e di mare ma anche di Natura, di danze in cerchio intorno al fuoco, di liberazione.
Ci piaceva inoltre l’idea che questo disco includesse non solo l’ascolto ma anche la visualizzazione. Una sorta di passeggiata sonora, su più livelli immaginativi, ad occhi chiusi. Per questo motivo abbiamo inserito prima, durante e alla fine delle tracce, dei suoni: il fiume che scorre nei boschi con il bramito del cervo in “Mother’s breath”, la pioggia in “Butterfly”, il rumore di sottofondo di una battaglia in “Haughs of Cromdale”. Non si può dire che c’è un pezzo che preferiamo! Ci piacciono tutti altrimenti non sarebbero nel disco. Altri che ci piacciono particolarmente non sono presenti in AcquaTerra. Uno è sicuramente una danza Danese e l’altro una canzone in lingua Svedese.»
Quali sono le collaborazioni fatte per questo album?
«L’unica collaborazione musicale è quella di Massimo De Feo. Ha suonato il mandolino nella traccia “Haughs of Cromdale” ed ha realizzato tutta la registrazione del disco presso il MidiMouse Studio di Avellino. Un’altra collaborazione è stata quella con Angela Puca, presidentessa dell’Associazione Pagana Quercia Bianca di Napoli, che ci ha aiutati nella revisione della traduzione di Mother’s breath. Francesco Tedesco che ha collaborato facendo tutto il lavoro di inserimento sonoro, mixing e mastering presso il suo studio IMRecording di Nocera Inferiore (Sa). Infine Alessandro Amoruso, giovane artista barese, che ha curato la grafica del disco.»
Il vostro ultimo video, The last King’s march, è un interessante corto, chi ha scritto il soggetto, a chi vi siete ispirati, e cosa racconta?
«Grazie! Il soggetto è stato scritto inizialmente da me ed Emilio e modificato e vagliato sia con Danilo (in quel periodo eravamo ancora un trio) sia insieme a Julien Bruno, nostro amico e regista che alla fine ha lavorato alle riprese in collaborazione con l’Agenzia Arpa di Cava de’ Tirreni (SA).
Ci siamo ispirati alla storia del grande Re Irlandese Brian Boru, personaggio storico realmente esistito, che ha perso la vita a seguito di una battaglia contro un’invasione Danese nel 1014. Uno dei brani del set che compone la colonna sonora di questo corto è Brian Boru’s March, marcia funebre scritta per lui dopo la sua morte e che si tramanda da secoli in Irlanda e al di fuori di essa.
L’idea iniziale era quella di raccontare la sua storia. Per vari motivi vi abbiamo dovuto rinunciare e lavorare più su un piano simbolico. Abbiamo così inserito da principio le bambine che ritrovano la spada e ricevono questo flashback sul passato, sulla storia dimenticata. Ci sono gli Elfi, che sempre hanno accompagnato nella mitologia i grandi Re; la Morrigan, divinità che presiedeva i campi di battaglia nella mitologia Celtica; la danza della Morrigan che guida il duello tra questi due personaggi che non sono più visti come persone ma come principi del Bene e del Male che sempre si fronteggiano. L’esito dello scontro non è positivo, come hai potuto ben vedere, ma c’è un messaggio di speranza: le bambine non dimenticheranno ciò che hanno visto durante il flashback e l’immagine della farfalla bianca, che vola sul luogo dello scontro, è il simbolo della purezza e del Bene che restano intatti. Tra l’altro nelle leggende della Gran Bretagna si dice che l’anima degli uomini sia come una farfalla.
Anche musicalmente abbiamo lavorato sul piano simbolico. Nella parte centrale di tutto il brano abbiamo volutamente inserito un canto Sciamanico, per rendere omaggio al grande sacrificio degli ultimi capi tribù Indiani (d’America). L’idea era quella di racchiudere in un unico brano l’idea del Re Uomo che si batte per il suo popolo, per la salvaguardia della sua Terra natia appunto per questo “La marcia dell’ultimo Re”.»
Mentre il vostro primo video, Mother’s Breath, anticipava il vostro album, raccontateci del video e cosa dice esattamente questa preghiera pagana…
«Il video di Mother’s breath è nato per caso e in brevissimo tempo. Voleva essere un’anteprima di ciò che sarebbe stato il nostro primo disco. Il posto ce lo ha fatto scoprire un nostro carissimo amico che compare anche nel video, Alessandro D’Urzo. Le riprese son state eseguite ancora da Julien Bruno sul fiume Calore, la parte che passa vicino Castelvetere (Av). Il video parla dell’ incontro tra un uomo e la Dea (rappresentata da Margò Lazàr, nostra amica e brava danzatrice di Tribal Fusion, che compare anche nelle vesti della Morrigan in The last King’s march) che danza nell’acqua, uno dei suoi elementi rappresentativi. Anche questo video racchiude in sé una simbologia ben precisa, ovvero l’unione tra Uomo e Natura, unione non solo spirituale ma reale. La preghiera Pagana cantata durante il brano è un’invocazione: “Che la Madre (la Dea) possa essere con te: ampio il suo abbraccio, generoso il suo ventre. Che il Padre (il Dio) possa essere con te portando con sé il suo arco di fuoco Immortale. Possa la Natura essere con te. Alberi, fiori e bestie rimanere in pace con l’Umanità”.»
Alcune canzoni sono la fusione di due brani, è una vostra peculiarità?
«Come dicevo sopra è una peculiarità della musica folk, in particolare quella Irlandese. Noi l’abbiamo adottata e adattata al nostro linguaggio musicale dandogli un tocco personale.»
La cover è stata disegnata da Alessandro “sketcher” Amoruso, quali simboli si nascondo dentro?
«La copertina è stata disegnata da Alessandro Amoruso, disegnatore della provincia di Bari. Ci siamo conosciuti durante un live a Lecce ed è stato amore a prima vista! In quell’occasione aveva fatto uno schizzo di noi che suonavamo e ci è piaciuto molto lo stile. Insieme poi abbiamo ideato la copertina e lui gli ha dato vita. L’albero ha la testa di cervo, il Dio Cernunnos che nel Paganesimo rappresenta il principio maschile. Le sue radici, dalle quali si diparte una testa di donna dai capelli fluenti, rappresentano la Dea, controparte femminile che lo completa. Il masso enorme indica l’elemento della Terra, con impresso il triskele che simbolicamente è l’unione dei 3 principi fondamentali che governano l’universo. È un simbolo che si ritrova in molte culture, non soltanto in quelle del Nord Europa ma anche in quelle del Sud, come ad esempio la nostra bella Sicilia, e nella cultura Indiana (d’India) con molti altri significati simbolici. Nel nostro caso simboleggia l’unione tra i popoli attraverso la musica e il fatto che nel disco ci siano brani delle aree Celtiche. Infine c’è l’acqua in cui tutto si fonda e da cui tutto prende vita. Elemento primordiale della nascita, nel nostro caso di questo nuovo progetto musicale che prende vita dall’unione dapprima di un uomo e una donna e che si completa successivamente con l’arrivo di altri due musicisti, quali Martino e Danilo. Sul cd invece abbiamo voluto imprimere quello che per noi è stato un po’ la scoperta di un piccolo Eden in terra Irpina, una parte del fiume Calore, dove abbiamo girato appunto il nostro primo videoclip Mother’s breath. Alzando il cd infatti si ritrova anche il testo della preghiera Pagana scritta a due mani da me ed Emilio. Per il retro Alessandro ha avuto l’idea meravigliosa di ritrarre i nostri volti di modo che ci fosse una linea filologica in tutto il lavoro. L’idea generale era quella di creare un disco che avesse una copertina simile a quella di un libro di favole antiche.»
Siete attualmente in tour, ma com’è un vostro spettacolo, oltre alla suggestiva musica raccontate anche di re conquistatori, donzelle innamorate, vichinghi assassini, maghi…
«Sì, siamo in tour e ovviamente invitiamo le persone a venire ad un nostro concerto. Preferiamo lasciare libera fantasia all’ascoltatore. Detto questo. Si frappongono momenti di narrazione a momenti musicali e di solito il narratore è Emilio. Per tanti anni ha studiato teatro quindi sa come fare. Si racconta sì di storie ma anche di problematiche moderne, messe poco o per niente in atto che ci stanno a cuore, come ad esempio il rispetto per la Natura (facile e scontato a dirsi ma difficile e meno scontato a farsi).
Viviamo in una regione in cui, recandosi in un bosco o in un qualsiasi altro posto che tu creda sia incontaminato, è facile imbattersi nei rifiuti di un pic-nic perché troppo spesso le persone non si curano di ringraziare il bosco o il fiume per l’ospitalità, ma anzi lo trasformano in discarica. Questo pensiero deve cambiare, siamo arrivati ad un limite. E se noi nel nostro piccolo possiamo farlo attraverso la nostra musica, ben venga.»
Quali sono i vostri hobby? La musica che ascoltate, libri che preferite…
«A tutti noi piace la lettura (io sto leggendo un libro sullo Sciamanesimo Siberiano ed Emilio sui Druidi), viaggiare, scoprire nuovi posti e incontrare persone nuove. Martino, oltre ad essere un musicista è anche un illustratore professionista e un appassionato di armi bianche. Danilo, da sempre appassionato di fiabe, miti e leggende, si è sempre occupato di politiche giovanili. A me piace creare cosmetici ecologici in casa o piccoli oggetti e sono da sempre attratta da tutto ciò che concerne la Conoscenza del Sé. Una volta anch’io disegnavo… di solito ho degli hobby poco stabili. Ad Emilio piace costruire strumenti musicali artigianali e risolvere problemi di vario tipo, dall’automobile fino a cucirsi un paio di pantaloni. Per quanto riguarda la musica abbiamo un ascolto molto ampio che va dal rock Progressivo, passando per il Metal, fin ad arrivare al Folk e alla musica Classica. Siamo viaggiatori e come tali ogni scoperta è un piacere.»