Adriano Pantaleo interpreta Emilio, un cameriere gay, in “12 Baci sulla bocca”, uno spettacolo teatrale scritto da Mario Gelardi e diretto da Giuseppe Miale di Mauro, che va in scena in questi giorni al Nuovo Teatro Sanità di Napoli. Gli altri interpreti sono Ivan Castiglione e Andrea Vellotti, nel ruolo di due fratelli, il primo Antonio che gestisce un ristorante aiutato da suo fratello Massimo, in procinto di sposarsi, fino a che entra nella sua vita Emilio, Adriano Pantaleo, assunto da poco come lavapiatti. Con lenta ponderatezza Emilio riesce a far breccia nel cuore di un solitario e insoddisfatto Massimo, s’innamorano, hanno i loro incontri segreti in una Napoli degli anni ’70 che vive, in alcuni ambiti, di grettezza mentale come quella di Antonio che dopo il matrimonio, saputo del fattaccio tra Emilio e suo fratello Massimo, preserverà l’amore del fratello consigliandolo di mettersi in riga ed amare solo sua moglie, e con Emilio, cosa succederà? Per scoprirlo consigliamo di andare a vedere lo spettacolo. Emilio, interpretato da un magistrale Adriano Pantaleo che, mosso dalla sua sensibilità e dal suo magistero di attore, rende il personaggio in un anelito costante e definibile amore, tra sguardi ed espressioni, uno a cui non puoi fuggire.
Un testo molto forte permeato anche da momenti di ilarità…
«Il personaggio di Antonio rompe spesso e volentieri la tensione che si crea dall’inizio alla fine. Lo spettacolo comincia con un boato nel buio, ma non si capisce cosa sia fino a quando non si accende la luce e si vede un uomo in passamontagna che batte una spranga su una lastra di ferro, già c’è del nero, della tensione forte.
Credo che, sia il regista che il drammaturgo, hanno lavorato su questo calare della tensione e credo arrivi allo spettatore, anche perché cerca una valvola di sfogo in queste risate per staccare un attimo.»
Un ruolo omosessuale, quali difficoltà hai avuto nell’impersonarlo?
«In realtà, l’approccio che abbiamo avuto, secondo me, è molto giusto. Insieme al regista abbiamo lavorato sulla condizione che questi due ragazzi fossero due innamorati, quasi senza sesso, per noi, nel nostro immaginario, sono Romeo e Giulietta. Hanno il loro amore passionale e travolgente, ma è negato dalla famiglia, in questo caso, impersonata da Antonio, Ivan Castiglione, che rappresenta l’ottusaggine e il non guardare oltre il proprio naso. Ho lavorato molto sulla mia parte delicata, sensibile e femminile e credo sia una risorsa infinita, per un attore o per chiunque, una parte che tutti noi abbiamo e mi sono divertito davvero tantissimo farlo. Io ho letto molto Charlie Chaplin che, con il suo Charlot, dichiarava di lavorare solo ed esclusivamente sulla parte femminile che lui aveva.»
Infatti, non scimmiottate i gay, non scadete nei luoghi comuni, ma i due protagonisti esprimono soprattutto un amore universale e sensuale…
«C’è un’esasperazione, se mi concedi il termine, della propria parte sensibile, delicata e femminile. E poi c’è un amore, che, a prescindere dagli interpreti, è un amore passionale, travolgente, bello. Quando sto in scena penso che mi piacerebbe vivere questo amore, perché molto intenso.»
È una storia anche molto attuale, famiglie che rinnegano il proprio figlio perché omosessuale ed episodi omofobici…
«Io vivo tra Napoli e Roma, e, soprattutto in quest’ultima città, ripetutamente nel corso di un anno, almeno due o tre volte, ci sono dei raid fatti a dei ragazzi solo perché gay. Proprio 15/20 giorni fa, mentre eravamo in lavorazione, un ragazzo è stato assalito e la motivazione che gli è stata data dagli aggressori era semplicemente perché gay.
Il merito va al regista Giuseppe Miale Di Mauro che ha deciso di ambientare la storia in quegli anni assume un valore maggiore perché viviamo negli anni di piombo, attraversa i 15 mesi che partono dalla strage di Piazza alla Loggia alla morte di Pasolini, anni di un certo spessore, però è assolutamente una storia attuale.»
Quest’anno avete fatto prima Roma e ora Napoli, quali critiche avete ricevuto e quale ti è più piaciuta?
«Io sono stato prima spettatore di questo spettacolo e l’ho amato tantissimo. È uno spettacolo fatto diritto per il pubblico, che riavvicina anche la medium teatrale, poi ci sono i gusti personali, può anche non convincere. Il mio approccio all’interpretazione a Roma era molto di tensione, uno spettacolo che ti è piaciuto tanto da spettatore è difficile farlo, invece, fin dalla prima sera, ci siamo trovati a nostro agio, Le recensioni di Roma sono state straordinarie, brutto e imbarazzante dirlo e una critica in particolare mi ha colpito, non ricordo chi l’ha scritta, parla dello sguardo di Emilio, che va oltre e riesce a penetrare quello di Massimo, insomma, io, su questo sguardo, ci lavoro molto. Prima dello spettacolo, quello su cui mi concentro molto, è avere una grossissima serenità negli occhi. E leggerlo significa che è arrivata a qualcuno.»