Dal 25 al 27 novembre andrà in scena presso il Teatro Trastevere di Roma, “Come un cactus nel deserto”, uno spettacolo prodotto Dall’out Out Theatre, scritto e diretto da Claudio Miani, con Ilaria Falconi, Flavia Franzini, Barbara Gentile, Silvia Pugliese ed Emanuela Reda.
Un lunedì sera come tanti, un tavolo da poker, quattro donne e cinque storie. A casa di Asia si ritrovano Patrizia, Sveva e Clara e come spesso succede, le singole vite prendono il sopravvento su una tranquilla serata di poker. Patrizia irrompe come un tornado, ha litigato con Riccardo, la quotidianità si fa troppo opprimente, i conti di fine mese segnano rosso e l’ombra della suocera megera incombe sul suo presente. Ha un sogno nel cassetto: Jonathan, macho latino d’oltre oceano. Sveva sembra la sola ad aver raggiunto una quasi perfetta autoregolazione. È arrivata a comprendere che la vera felicità alberga solo in un equilibrio sano e costruttivo e così ha deciso di cambiare vita: ha abbandonato la carne confezionata del supermercato ed ora mangia solo seitan, insalata e frullati biologici. Recita litanie buddiste, ha un proverbio buono per ogni occasione e ha scoperto la vera importanza dei furetti. Clara è convinta che i furetti altro non sono che piccoli ometti blu, scambia la musa di Chagall per una tronista e una tazza di camomilla per un bicchiere di rhum. E’ timida, introversa e con un grande desiderio di affermazione. Dulcis in fundo Asia, la padrona di casa, l’unica single del gruppo, per scelta, non la sua, ma del marito che esattamente un anno prima ha deciso di tagliare la corda, lasciandola sola Come un cactus nel deserto. Di tranquillo, la serata non avrà assolutamente nulla e se a questo aggiungiamo l’improvvisa idea di trasformare un momento ludico in un’occasione di trasgressione… beh… ci sarà da fare i conti con Andrea…
Come un cactus nel deserto si presenta come un momento di pura comicità dove il connubio tra verbale e non verbale genererà delle situazioni divertenti e surreali. Curato nella scenografia da Massimilano Guidi e sotto la guida attenta di Claudio Miani, si trascorrerà un’ora e mezza di sana evasione, staccando la spina da tutte le difficoltà del quotidiano e ricordandoci che le fobie di ciascuno di noi, altro non sono che le fondamenta per una corretta crescita interiore…
Intervista al regista Claudio Miani
Ciao Claudio. Iniziamo proprio dallo spettacolo. Come è nata l’idea di scrittura di questo testo? Di cosa parla?
«Come un Cactus nel Deserto nasce dalla voglia di raccontare la storia di cinque donne alle prese con i propri problemi di coppia. Un viaggio creativo all’interno dell’universo femminile cercando di estremizzare i disagi che le donne provano nell’avere accanto uomini, che per motivazioni differenti, non sono esattamente quelli che desidererebbero. Ognuna si troverà a fare i conti con se stessa e con la voglia di cambiare, fosse anche solo per una sera. È la storia di una apparentemente normale partita a poker, un lunedì come tanti con il desiderio di trascorrerlo spettegolando qua e là, ma che ben presto si trasformerà in un’occasione di trasgressione e libertà che condurrà le donne a…. beh… questo lo venite a scoprire dal 25 al 27 novembre al Teatro Trastevere. Come un Cactus nel Deserto si presenta come un momento di pura comicità dove il connubio tra verbale e non verbale genererà delle situazioni divertenti e surreali.
Per quanto riguarda la regia, ti sei ispirato a registi di grande tradizione o hai scelto una strada più alternativa?
«A livello strutturale lo spettacolo ricalca le commedie comiche del teatro inglese, dove però l’humor britannico non si trasferisce nel verbale ma nel non verbale. Abbiamo cercato di dare risalto ai movimenti, alle sospensioni e alle pause, colorando la narrazione di sfumature di contorno che speriamo il pubblico colga ed utilizzi per arricchire la vicenda. Se dovessi collegare la costruzione testuale ad un regista specifico, mi verrebbe alla mente la comicità assurda di Mrozek o la poetica di Gombrowicz».
Perché questo titolo?
«La scelta nasce da un confronto con le attrici. Durante una delle prove abbiamo iniziato a cercare un titolo che supportasse a dovere la forma narrativa che stavamo progettando e che pian piano stava venendo fuori. Il testo comico si arricchiva di nuovi elementi, diegetici e non, e così ci siamo resi conto che man mano che l’assurdo prendeva spazio nella caratterizzazione comportamentale di alcuni personaggi, anche il titolo aveva bisogno di un suo spazio, direi quasi di respirare in una distesa dove potesse rendere a dovere ciò che avremmo messo in scena e così… la distesa è diventato un deserto e le problematiche sono diventate spine del cactus… A quel punto il resto è venuto da solo».
Una domanda secca: chi è Claudio Miani?
«Troppo e niente allo stesso tempo. Sto nel teatro oramai da più di quindici anni e ho sempre cercato di raccontare borderline le storie e le vicende dell’uomo, appoggiandomi a testi famosi o scrivendo di sana pianta gli spettacoli. Quest’anno abbiamo deciso di ridare corpo ad una compagnia che nel tempo aveva già portato sulle scene diversi lavori come: Shakespeare non l’ha mai fatto, tratto dai libri di C. Bukowski, Memorie del sottosuolo, parliamo ovviamente di Dostoevskij, Strip Tease, dello stesso Mrozek di cui accennavo prima e molti altri lavori. Così abbiamo rispolverato l’Out Out Theatree abbiamo deciso di ributtarci nella mischia, però con un obiettivo differente. Non vogliamo solo portare in scena lavori nostri, ma vorremmo produrre anche qualche lavoro esterno alla compagnia. Proprio dalla primavera 2017 partirà il GAZEBO THEATRE, uno spazio privato all’aperto che ospiterà i lavori di diverse compagnie selezionate dal sottoscritto e a tal proposito invito chiunque volesse ulteriori informazioni o volesse sottoporci dei lavori a contattarci per mail cliccando QUI».
Come credi sia cambiato il mondo dello spettacolo oggi, in italia?
«Se per spettacolo intendiamo sempre la forma teatrale, beh, direi che è mutato notevolmente negli ultimi vent’anni. Spesso il teatro diviene una sorta di protesi povera e irriguardosa degli eventi televisivi. Il teatro diviene figlio di un format del piccolo schermo e spesso proprio dal piccolo schermo assorbe personaggi più o meno idonei a calcare le scene. Lo studio teatrale è spesso ridotto all’osso e i nomi che campeggiano sui cartelloni sono quasi sempre volti noti, se così possiamo dire, della televisione. Basta uscire da un qualche reality è si è tutti attori».
I tuoi sogni o desideri futuri?
«Diciamo che la parola “futuri” non è idonea. Stiamo già lavorando al prossimo testo. In realtà il lavoro che porteremo in scena nel 2017 e speriamo di riuscire a presentare sempre al Teatro Trastevere che ci vedrà sul palco fra poco meno di due settimane, è una riscrittura di alcuni lavori di Beckett che realizzai nel 2010 ma che decisi di non portare in scena. La corretta maturazione testuale si è raggiunta proprio quest’anno, quando ho deciso di rimettere mano ad alcuni personaggi, aggiornando le drammaturgie beckettiane dell’assurdo agli stilemi del contemporaneo. Anche in questo caso spero che riusciremo a fare un lavoro all’altezza della situazione e la materia di sperimentazione studiata permetta di raccontare ciò che ci prefiggiamo».