In occasione delle commemorazioni per la prima guerra mondiale, martedì 25, Claudia Campagnola in Un attimo prima con testo di Paolo Logli, musiche di Enrico Blatti e regia di Norma Martelli – renderà omaggio a Bomerano nel Palazzo Acampora, alla figura, spesso sconosciuta più che dimenticata, delle portatrici carniche, donne giovani e meno giovani che trasportavano a spalla gerle cariche di granate, cartucce, medicinali, viveri fino alle trincee in quota, dove molto spesso combattevano i loro mariti, fratelli, figli.
La Carnia, regione alpina del Friuli è ed era una zona impervia, dal fondo valle dove erano dislocati i magazzini e depositi militari, fino alla linea del fronte in montagna dove gli uomini combattevano, non esistevano rotabili per il transito di automezzi, per raggiungere le trincee si potevano seguire a piedi solo sentieri e qualche mulattiera. Le donne dei paesi a valle, avvertendo la gravità della situazione, non esitarono ad aderire all’invito che veniva loro rivolto dal Comando Militare, per trasportare a spalla quanto occorreva agli uomini della prima linea. Si costituì un vero copro di ausiliarie formato da donne giovani e meno giovani, dai quindici ai sessant’anni di età, le portatrici carniche furono chiamate. Per ventisei mesi dall’agosto del 1915 all’attobre del 1917, all’alba di ogni giorno riempivano le loro gerle, se le caricavano in spalla e sotto un peso di trenta-quaranta chili, in piccoli gruppi salivano a piedi su per i sentieri fino alle trincee in quota.
È questo il racconto della giovane protagonista di Un attimo prima. Una ragazza semplice, abituata alla montagna, ai suoi ritmi, alle sue logiche, agli elementi essenziali di giudizio che identificano spesso il modo in cui guarda al mondo la gente semplice della montagna: alto, basso, caldo, freddo, giusto, sbagliato. Un vero e proprio rosario di pensieri, in cui i ricordi si sovrappongono al presente e le immagini di un lessico familiare si incrociano con gli scorci della montagna e del fondovalle, rosario che si snoda lungo il tempo ipotetico della salita. Lassù ci sono le trincee, laggiù c’è il paese. Lassù ci sono gli uomini, laggiù c’è casa. Il racconto è solo un filo di pensiero che collega questi due poli.
Una voce isolata quella della portatrice protagonista, un grido di amore per le vette e per l’erba dei crinali, per le nuvole di un cielo azzurro come la porcellana, che risuona sulla valle, portando con sé il racconto di un inevitabile desiderio di vita e di amore che si fa strada in mezzo allo scenario insensato della guerra. L’attrice in scena si muove in un labirinto sonoro dove si sovrappongono melodie sognate, aspri silenzi, dove il ricordo di vecchie ballate si confonde al suono sordo di un mortaio o al sibilo frusciante di una schioppettata.