Tradimenti è lo spettacolo di Sinisi in scena la Sannazaro di Napoli
In scena, al Teatro Sannazaro di Napoli, Tradimenti di Harold Pinter nella versione di Alessandra Serra, con Stefano Braschi, Stefania Medri e Michele Sinisi che ne firma anche la regia;
una produzione Elsinor centro di produzione teatrale (repliche fino a domenica 5 febbraio).
Andata in scena per la prima volta al National Theatre di Londra nel 1978, Tradimenti è stata definita una tragicommedia che, insieme a L’Amante e a Vecchi Tempi, compone la trilogia sulla menzogna dell’amore.
La storia di Tradimenti è quella di una relazione extraconiugale ripercorsa però a ritroso, dalla sua fine fino ai suoi esordi. Tutto inizia due anni dopo la fine del rapporto e termina prima che esso abbia inizio.
Ma, oltre ai due amanti c’è anche il marito di lei, nonché migliore amico di lui. Insomma, un triangolo a tutti gli effetti, dalla trama apparentemente semplice e lineare.
Se non fosse che il susseguirsi dei fatti lascia piano piano spazio alla complessità d’animo dei tre personaggi, accomunati da un segreto a volte difficile da portare.
«Forse è proprio il segreto – spiega Sinisi – l’elemento chiave della pièce. Le parole non dette, i pensieri taciuti, le azioni nascoste che riempiono le vite dei personaggi, invadono i loro spazi, si insinuano in tutte le loro relazioni.
Ma anche la nostra quotidianità, il nostro segreto vengono qui messi in gioco.
Perché non c’è strazio maggiore per il cuore che in quei momenti in cui pensiamo a ciò che avremmo voluto dire in quelle stanze, a quel tradimento dato dal nostro silenzio. È questo, forse, il modo con cui noi esseri umani cresciamo e diventiamo grandi».
Regia essenziale, quella di Michele Sinisi, che va dritta alla sostanza di un testo solo apparentemente semplice, ma ricco di risvolti psicologici e di tensioni drammatiche tra i personaggi e che esalta fondamentalmente le capacità attoriali e d’improvvisazione degli interpreti.
Un pannello luminoso che di volta in volta indica date e ambientazione dell’azione risolve genialmente il problema della collocazione delle varie scene che si dipanano – a ritroso – in un arco temporale di un decennio. Il ricorso alla testa di un cervo e ad un pollo da cuocere con una fiamma ossidrica,
oltre ad essere fortemente evocativo, dà la cifra di uno spettacolo che punta ad esaltare tanto gli elementi ironici quanto gli accenti di maggior crudeltà.
Spiacciono solo alcune scelte molto discutibili come l’orribile borsa di plastica Ikea messa in evidenza di ritorno da un viaggio a Venezia e la penultima scena che trasforma la festa dei due coniugi, in cui l’amante palesa per la prima volta la sua attrazione per lei, in un’interminabile compilation di dance music anni Ottanta (fuori luogo e fuori contesto),
mentre sul pannello luminoso che fa da scenografia campeggia la scritta Millenovecentosessantotto.
A parte ciò, lo spettacolo risulta assolutamente godibile e dal ritmo incalzante (almeno fino al sottofinale) grazie anche alla bravura degli interpreti, ben assortiti e affiatati tra di loro.