Comincio la lettura di “Totò con i quattro” di Ciro Borrelli e Domenico Livigni (primo volume della collana dedicata al Cinema, e secondo della linea SERIE ORO ideata e diretta dalla giornalista Anita Curci, in collaborazione con la casa editrice Apeiron) piena di pregiudizi pensando di trovarmi di fronte all’ennesimo libro su Totò.
Mi ricredo dopo poco; mi ha convinto il modo originale con il quale i due autori hanno approcciato al personaggio Totò; arricchito dalle introduzioni di Borrelli, Mauro Macario, Andrea Jelardi e Ennio Bìspuri, il libro scorre in maniera veloce grazie ad una efficace scrittura, ma si nota uno studio approfondito sui personaggi che raccontano e si raccontano. Sfogliando il volume apprendiamo interessanti notizie su Totò e sui quattro che ci proiettano nel mondo dello spettacolo scrigno di sorprese e dure verità.
Il titolo del libro si ispira al film che i cinque artisti girarono insieme nel 1963, diretti da Steno, Totò contro i 4.
Sfidandoli sul loro stesso campo ho intervistato i due autori sottoponendoli ad una raffica di domande per comprendere meglio il lavoro ed ecco le loro risposte.
Ciro Borrelli una vita nel segno di Totò, una piacevole ossessione che la segue da quando era piccolo al punto di decidere di scrivere un libro. Perché ha deciso di sviluppare il suo scritto sotto forma di intervista a De Filippo?
Perché il primo ricordo che ho di Totò è insieme a Peppino De Filippo. Rivedo un’immagine sfuocata, lontana, in cui sono entrambi seduti su di carro; Totò guida, Peppino gli è accanto. Il film è “Totò, Peppino e la malafemmina” di Camillo Mastrocinque, girato nel 1956. La pellicola che ha consacrato i due mostri sacri. Peppino è morto nel gennaio del 1980, circa tredici anni dopo Totò; in questo lasso di tempo ha rilasciato alcune dichiarazioni sul suo caro amico e gli ha dedicato un capitolo nel suo libro “Strette di mano”. Ed è proprio da queste fonti che sono partito per scrivere le sezioni di mia competenza di questo volume. In tal modo sono riuscito anche, in parte, a “fare ammenda al peccato di Fortuna” (Boccaccio mi scuserà per il furto dell’espressione). Dal giorno in cui, come rammentavo prima, ho potuto gustare le esilaranti gag di “Totò, Peppino e la malafemmina”, infatti, i due grandiosi artisti sono diventati per me – per così dire – compagni di giochi. Avrei voluto tanto conoscerli entrambi, o anche solo uno di loro! Lo avrei tormentato chiedendogli dell’altro. Con questo rimpianto son cresciuto, di non aver mai incontrato i mei miti, i miei “amici”…
Viene da chiedersi se il De Filippo proposto da lei nell’intervista è quello la cui immagine è stata tradizionalmente proposta.
Oltre ad essere un appassionato di Peppino, sono anche uno studioso. Mi sono molto documentato sul De Filippo, attraverso volumi a lui dedicati (pochi, a dire il vero), recensioni di suoi spettacoli, libri da lui scritti, interviste rilasciate. Ho scoperto un uomo spigoloso, pugnace, dotato di una spiccata personalità. Lo scorso anno ho pubblicato un saggio su quest’affascinante protagonista della cultura partenopea, con la casa editrice Kairòs, Serie Oro, curata da Anita Curci. Questo mi ha permesso di immedesimarmi il più possibile in questo enorme personaggio; spero di esserci riuscito.
Alla base dello scritto c’è uno studio approfondito delle fonti; dove ha reperito il materiale e quanto tempo ha dedicato allo studio?
Rispondo innanzitutto alla seconda domanda: tanto tempo! Poi anche alla prima, strettamente collegata. Io e Livigni, il coautore, abbiamo consultato uno sterminato numero di saggi e riviste, spulciando tra i libri in nostro possesso ma pure nelle biblioteche e negli archivi. A ciò si aggiungano i filmati visionati. Per Totò è stato più facile, perché su di lui è stato scritto molto, specialmente negli ultimi due anni, essendo caduti il cinquantenario della morte e il centenario della nascita. Per Peppino il lavoro di recupero del materiale si è rivelato meno semplice; ma alla fine chi la dura la vince. Ci tengo a precisare, però, che il nostro non ha nulla a che vedere con un lavoro cattedratico: a fare da collante tra le pagine – i lettori lo scopriranno – vi è una bella manciata di fantasia. Ancor più complesso si è rivelata la ricerca del materiale relativa a Nino Taranto, protagonista dell’altra sezione di cui mi sono occupato.
Alla fine di tutto, che idea si è fatta di de Filippo e di Totò? Per esempio, lei non avalla la teoria di De Filippo come spalla di Totò…
Assolutamente no! Peppino era un primo attore e quindi al massimo lo si può considerare un comprimario di Totò. Lo dimostrano anche i titoli dei film! Fatto salvi “Totò e le donne” ed “Una di quelle”, i primi due film girati dai due grandi insieme (qui Totò è il protagonista assoluto), per tutte le altre pellicole i nomi di Totò e Peppino appaiono insieme nelle locandine. Peppino nella sua carriera è stato un interprete comico e drammatico, un autore, un capocomico, un vignettista, un poeta, uno sceneggiatore e un compositore di canzoni. In breve, un artista completo, purtroppo poco apprezzato dalla critica. Chiamarlo “spalla” mi sembra molto, molto riduttivo. Lo stesso discorso vale per Nino Taranto, professionista versatile come pochi. Attore di prosa e di rivista, cantante e macchiettista, capace di spaziare dal comico al drammatico, senza nessuna difficoltà: basti pensare al meraviglioso film “Anni facili”, girato da Luigi Zampa nel 1953, che valse a Taranto il nastro d’argento come miglior attore.
Emerge molto spesso il tema della fame, della necessità, che spinge Totò a fare scelte che poco hanno a che fare con la qualità artistica. Dunque lui era proprio un portento a tale punto da trasformare sceneggiature fiacche in successi?
Totò ha girato un numero enorme di film; alcuni tra questi obiettivamente dozzinali, come riconosce lui stesso in diverse dichiarazioni. L’artista era consapevole di essere utilizzato spesso al solo scopo di far incassare soldi al botteghino. Totò era fondamentalmente un uomo di teatro e tutti i grandi teatranti del passato adoravano il rapporto diretto con il pubblico. Veniva dall’avanspettacolo, dalle riviste, quindi conosceva i gusti della gente: da quel genio che era, portava gli spettatori al visibilio. Questa cosa fu capita dai produttori e dai registi, che cercarono di sfruttare al massimo la verve comica dell’attore, facendogli girare anche film con misere sceneggiature. Pensiamo ad esempio a “Totò contro il pirata nero”, per citare uno di quelli girati quasi a fine carriera.
Ci parla della scena cult della lettera ….
Attraverso una dichiarazione di Teddy Reno, che interpreta il ruolo del nipote di Totò e di Peppino nel famigerato e già citato film, sono venuto a conoscenza, che la scena della lettera che è andata in onda non era la più bella, difatti il giorno prima ne girarono una ancor più esilarante, ma che andò persa perché un macchinista rovinò tutto. La scena della lettera non era nel copione, Totò e Peppino la improvvisarono o meglio la costruirono al momento, cogliendo tutti di sorpresa, compresi il regista e il produttore. I due andavano a braccio, in perfetta sintonia, stando attenti a non ridere; ma d’un tratto ad un povero manovale delle luci, che chiamavano Polifemo perché era mezzo cieco, scappò improvvisamente una risata come fosse a teatro. Totò restò sbigottito mentre Peppino urlò: “Chi è questo cretino?”. Polifemo, il manovale, rovinò tutto. Il regista ed altri addetti ai lavori, dopo aver severamente rimproverato il colpevole, supplicarono Totò e Peppino di rifare la scena ma entrambi non ce la sentirono. La rifecero il giorno seguente, una sola volta e Polifemo fu perdonato
Anche per parlare di Taranto sceglie la forma dell’intervista impossibile: pensa ad una sceneggiatura, forse?
Inizialmente no! L’idea era solo quella di omaggiare il principe De Curtis con una modalità atipica, lontana dalle solite monografie. Non Le nascondo, però, che una volta concluso il lavoro, leggi e rileggi, l’idea di una sceneggiatura ha cominciato a solleticarmi molto. In merito a Taranto, ho voluto creare un dialogo tra lui ed un bambino curioso per far risaltare l’umanità dell’artista, sempre collaborativo e disponibile verso gli attori della sua compagnia, almeno a detta di coloro che hanno lavorato con lui e che mi hanno rilasciato delle meravigliose testimonianze: parlo di Lidia Ferrara, Giulio Adinolfi, Franco Iavarone ed Aldo de Martino
Al giovane Ciro che fa domande a Taranto si aggiunge una folla sempre più curiosa: un omaggio al modo di essere dell’attore?
Esatto! Nino Taranto era una persona solare, gioviale e dotata di una caratteristica che appartiene solo a pochi grandi attori: l’umiltà. Il motivo per cui ho deciso di raccontare Totò attraverso Taranto è dovuto al fatto che quest’ultimo, benché fosse molto amico di Totò, nutriva nei suoi confronti una leggera soggezione. Tant’è vero che non riuscì mai a dargli del tu. La rivalità genuina che c’era tra Totò e Peppino non sussisteva con Taranto, il quale ha sempre considerato il Principe de Curtis superiore. Affiatatissimi in scena, diversi nella vita, Nino e Totò ebbero in comune un grande talento naturale, forgiato alla scuola della strada e della vita: a rinsaldare il loro legame, poi, tante passioni condivise, a cominciare dalla canzone, che diede loro modo di incontrarsi sin dall’inizio della carriera, oltre ad un infinito ed incondizionato amore per la città d’origine.
Domenico Livigni ci vuole sempre una idea un punto di partenza per cominciare un’opera. Nel libro si parte dalla morte di Totò per entrare nella mente di Macario e raccontare della sua esperienza artistica e in quella del Principe della risata. Perché ha scelto la morte per cominciare tutto?
Perché mi sono ispirato alla realtà dei fatti e dei sentimenti di quell’epoca, o meglio di quel 15 aprile 1967. Mauro Macario (secondogenito del comico e curatore dell’introduzione), nel suo volume “Macario un comico caduto dalla luna” (edito da Baldini e Castoldi nel 1998), racconta che fu lui a comunicare al padre la notizia della morte di Totò. Macario, che si trovava con la sua compagnia di Rivista in una provincia del Nord Italia, alla notizia reagì con molto dolore e dispiacere, chiudendosi per tutto il giorno nella sua camera di albergo. Questo piccolo aneddoto ha alimentato la mia fantasia, creando forme e situazioni che mi hanno accompagnato nel mio lavoro di ricerca, sempre sorretto da una caratura scientifica e filologica. Poi, la morte, in qualche modo, ha sempre suscitato un’immagine di riflessione e di sospensione, appropriata a un vero e proprio atteggiamento di intimismo. Un viaggio mentale poco piacevole di una persona e di un artista per disseppellire due vite così ricche e voluminose.
Macario e Totò due grandi che non si sono pestati i piedi, anzi. In un passaggio del libro racconta di una certa modestia di Totò che vuole essere messo alla prova, ma come era Totò?
Esattamente. La loro modestia, che sembrava quasi un “obbligo” di fedeltà umana nel rapporto di lavoro, si evince chiaramente in un’intervista, che ho trovato e riportato nel mio lavoro, rilasciata da entrambi per il giornalista Renato Corsini, inviato del quotidiano La Notte. Macario si palesa come un sostenitore del Principe e Totò ricambia con altrettanto affetto, dicendo: “Macario, Macario, non cambi mai…Tu lo sai che io sono un tuo ammiratore!”. Lo stesso Macario, durante un’altra intervista per il settimanale Gente (13 maggio 1972), a proposito del carattere del comico Totò e dell’indole dell’uomo Antonio De Curtis, dichiarò: “Era un uomo profondamente buono, un aristocratico conservatore. Il mondo non gli piaceva, ci trovava troppo cattiveria. Faceva ridere, ma la sua comicità era come uno sberleffo che lui faceva alla vita, un modo di esorcizzare la tristezza che sentiva nell’anima”.
Perché ha voluto parlare di Totò attraverso due grandi artisti come Macario e Fabrizi?
Perché di questi due grandissimi artisti se ne parla poco, anzi pochissimo. Una biografia su Macario mancava nelle nostre bibliografie da più di 20 anni; mentre su Fabrizi ci sono stati soltanto alcuni approfondimenti tematici, come le macchiette e la sua carriera cinematografica, ma una biografia completa non è stata ancora realizzata. Dopo un meticoloso lavoro di ricerca e di studio, ho deciso di riportare e di mettere in luce diversi aspetti già noti e altri completamente inediti di queste due maschere comiche, attraverso la figura di un Totò agente e fattore accelerante di ricordi e di esperienze.
Di Fabrizi cosa l’ha colpita?
La sua completezza artistica. Attore comico e drammatico, regista, commediografo, poeta, sceneggiatore. Come ho ribadito nel mio testo, il suo ruolo di interprete e di autore era la combinazione di espressioni, di modi di dire, di fare umorismo o provocazione, con una caratteristica di base sviluppatissima e universale. Per capire ancora di più il suo aspetto attoriale e autoriale, ho bazzicato a lungo le sue strade, le sue zone, la sua Roma. Sono stato nel Rione Regola, a vicolo delle Grotte, la strada che gli diede i natali. Sono stato a Campo de’ fiori, dove ha mosso i suoi primi passi. Sono stato al Salone Margherita, dove ha portato in scena i suoi successi di autore e di attore teatrale. La sua presenza è ancora viva, forte, palpabile in mezzo alla gente.
Non sempre si trattava di grandi film ma questi artisti li rendevano tali, come ci riuscivano?
Semplicissimo. Trascuravano i copioni e rielaboravano loro le scenette, le battute e le sequenze da mettere in campo. Ad esempio, Totò e Macario, durante le riprese dei due film Totò di notte n.1 e Totòsexy, arrivavano sul set, saggiavano il terreno con delle battute preparate quasi al momento, si scambiavano le battute, botta e risposta, e il gioco era fatto e con esso anche le sequenze da girare.