Ritorna, a grande richiesta, il teatro in foyer al Nuovo Sanità: sabato 6 e domenica 7 giugno va in scena “La terza comunione” di Mario Gelardi, con Carlo Caracciolo, Luigi Credendino e Ciro Pellegrino, per la regia dello stesso Gelardi.
Lo spettacolo, che è un anticipo della stagione estiva del Sanità, intende proseguire il progetto di portare il teatro nei luoghi naturalmente congeniali ai racconti scenici proposti. Così dopo “Do not disturb”, che trasforma le stanze d’albergo in palcoscenici naturali, Gelardi utilizza uno degli altari della Chiesa dell’Immacolata e San Vincenzo (dove oggi sorge appunto il Nuovo Teatro Sanità) come spazio scenico ad hoc per il suo ultimo lavoro. Solo 35 spettatori a sera potranno perciò assistere alla messinscena che, utilizzando una parte della struttura del teatro, ne recupera artisticamente l’uso e la funzione originaria.
“La terza comunione” descrive un mondo che forse resiste solo nei ricordi dei nostri genitori o di noi da bambini e, come relitto di un’umanità superata, forse in qualche paese del profondo Sud. Si tratta della voce ancestrale di quella comunità di donne che una volta affollava le chiese. Unite come un solo popolo, una sola entità, il gruppo di donne che dicevano il rosario, come una nenia cantilenante o che cantavano le canzoni sacre, è un’immagine indelebile nella memoria di ognuno. Ed è un’immagine che resiste al tempo, basta gettare uno sguardo distratto tra i banchi di una chiesa prima che cominci qualsiasi celebrazione.
Mario Gelardi cerca di ricreare questo mondo unendo le donne come in un’unica voce, un unico pensiero, che poi può dividersi in due, tre, quattro, infinite voci. Il testo è insieme monologo e dialogo. La preghiera qui si fa rito teatrale.
A questo proposito racconta l’autore e regista dello spettacolo: «Ho creato una storia decisamente sopra le righe, paradossale: l’impossibilità di una bambina di ricevere la prima comunione, la sua difficoltà ad ingoiare l’ostia, il corpo sacro di Cristo viene rigettato dal corpo altrettanto sacro di un’anima candida e innocente». Attorno a questa vicenda che appare al nucleo comunitario, parrocchiale e umano, come simbolicamente negativa, si crea un mondo fatto di voci, di pettegolezzi, di frasi masticate e non dette, di parole sputate di nascosto, che determinerà lo svolgersi della vicenda: la parola si fa azione come nella preghiera e lo sguardo, la visione di chi assiste alla celebrazione del sacramento, si amplifica. Le parole si fanno preghiera che uccide, preghiera sbagliata, ostinata, musica mortale.