“Servillo legge Napoli” (in scena al Teatro Trianon fino a domenica 25 febbraio) è un sentito omaggio alla Napoli dai mille colori, della quale l’attore è anche cittadino onorario. Dopo il San Carlo, l’attore della “Grande bellezza” continua a ritrarre la fascinosa complessità della città, attraverso le parole di scrittori e poeti che meglio l’hanno rappresentata, decantandone le bellezze, ma anche le infinite contraddizioni. L’attore dà voce e corpo a questi testi poetici, proponendoci un viaggio immaginario attraverso quattro secoli di letteratura napoletana, da quella classica fino a quella contemporanea. La serata si apre con i versi di una delle poesie più intense e malinconiche di Salvatore di Giacomo “Lassamme fa a Dio”, segue una sua personale interpretazione del personaggio tragico creato dal grande Eduardo de Filippo “De Pretore Vincenzo”, due liriche di Ferdinando Russo “A Madonna d’è mandarine”e “E’ sfogliatelle”, fino alla tragica storia raccontata dal sommo poeta Raffaele Viviani “Fravecature”. Poi Servillo, con la sua forza espressiva dà voce al geniale e sanguigno artista della zona flegrea Mimmo Borrelli con “Napule” e “A’ sciaveca”. Con “Litoranea” del 1991 del drammaturgo Enzo Moscato Servillo ci fa vedere quasi, grazie alla sua intensa interpretazione, la giornata di un gruppo di scugnizzi su uno scoglio a Marechiaro. A seguire un omaggio alla scrittura dell’autore contemporaneo Maurizio de Giovanni con “O’ Vecchio sott’o ponte”, un racconto dolce e umano sul dolore di un padre per la perdita del figlio. Con “Sogno napoletano” di Giuseppe Montesano, Servillo ci trasporta in una dimensione onirica nella quale l’imminente apocalisse lascia il passo a un più desiderato e auspicabile risveglio delle coscienze troppo a lungo assopite. La serata continua con un doveroso omaggio all’arte di Totò con una originale interpretazione di “A livella”. Poi una poesia del drammaturgo Raffaele Viviani e “Nfunno” di Eduardo de Filippo. “Servillo legge Napoli” si chiude si conclude con il ricordo a Michele Sovente, poeta di Monte di Procida prematuramente scomparso, che mescolava il latino con il napoletano e il dialetto flegreo con “Còse sta lengua sperduta”. I testi scelti da Toni Servillo sono un viaggio dantesco all’incontrario. La sua non è una lettura fredda. L’attore si fa curioso e attento interprete dei testi, mescolando sapientemente l’alto e basso, sublime poesia e sommo degrado, quasi come un maestro di musica che legge uno spartito davanti al suo leggio. I temi trattati sono molteplici. Predominante è quello del rapporto del popolo napoletano con l’aldilà e con i morti, con i quali il napoletano ha una ironica e distaccata relazione. Da queste considerazioni si evince una immagine del napoletano che va oltre i soliti stereotipi che lo rappresentano gaudente e menefreghista, ma che si interroga sul proprio destino in un dialogo confidenziale con Dio e i Santi. Servillo riempie da solo la scena con la sua voce che di volta in volta si trasforma, calamitando l’attenzione del folto pubblico in sala. Meritati applausi anche a scena aperta.
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