Checco Zalone arriva al cinema con “Tolo Tolo”, il quinto film del comico, ma il primo firma nelle vesti di regista. Uscito nelle sale a Capodanno, nei giorni precedenti era stato già sottoposto a molte critiche a causa del trailer pubblicato in rete, perché accusato di xenofobia. Ma siccome non bisogna mai, o quasi, giudicare un libro dalla copertina, è necessario affermare che non c’è alcuna traccia di xenofobia in questo film esilarante e struggente allo stesso tempo.
La storia inizia e finisce in Italia ma è in gran parte ambientata in Africa, e segue il viaggio che il protagonista compie insieme ad alcuni migranti. Per sfuggire a debiti e creditori, parenti ed ex mogli assetate di sangue, Checco Zalone ha scelto il Kenya. Consapevole di aver compiuto una una scelta fatale, l’imprenditore porta con sé i suoi sogni, insieme ai preziosi mocassini Prada e il borsello di Vuitton e “sacrifica” le sue creme anti-età che considera “l’abc della civiltà”. Una volta arrivato in Kenya, Zalone resta perplesso; le “tribù di selvaggi” che vi abitano, suscitano in lui uno strano mix di curiosità e rabbia, perché hanno compreso il segreto della vita: semplificare le pratiche di corruzione della pubblica amministrazione ed evitare all’imprenditore lo strazio e il tedio di Iva ed F24. Ma il sognatore Checco è perseguitato dalla sfortuna: per uno strano scherzo del desino, scoppia una guerra proprio dove si trova il protagonista, per cui è costretto ad affrontare “il grande viaggio”; quello che conduce i migranti fuori dal Kenya, attraverso il deserto e verso le coste italiane. Suoi compagni nell’impresa sono l’aspirante regista Oumar (Souleymane Sylla), la splendida Idjaba (Manda Touré) che gli rapisce il cuore, e il piccolo DouDou (Nassor Said Birya).
Quindi, dopo aver trattato la questione dei dipendenti pubblici, dei loro privilegi e dell’ossessione per il posto fisso, Zalone si è dedicato all’altra faccia della medaglia: quella delle Partite Iva, dei tanti imprenditori stritolati da una burocrazia impossibile e da un fisco opprimente. I due aspetti centrali del film, i migranti e la mancanza di lavoro in Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, sono stati uniti in maniera armonica, e in soli novanta minuti hanno dipinto un quadro più che realistico dell’Italia contemporanea.
Per cui non resta che chiedersi: riusciranno i nostri eroi a sbancare il botteghino, mentre deridono l’Italia, dal reddito di cittadinanza all’intolleranza violenta? Provare per credere.