Nuovo appuntamento con la direzione orchestrale di Fabio Luisi, alla guida della compagine sancarliana: dopo la profonda immersione nell’opera russa di Cajkovskij, peraltro ancora in corso di repliche, ieri sera è stata la volta del grande sinfonismo tedesco, con le prime due Sinfonie di Johannes Brahms; e come previsto, il primo dei due concerti in agenda (l’altro sarà sabato, con le Sinfonie n° 3 e n° 4) è stato un bel successo, nonché una conferma delle doti direttoriali del maestro, soprattutto in questo repertorio tardo-romantico che sembra essergli davvero congeniale.
Johannes Brahms giunse tardi al genere sinfonico, infatti la sua Prima Sinfonia in do minore fu completata, seppur dopo una lunghissima gestazione, nel 1876, quando il compositore aveva già superato i quarant’anni. Naturalmente incombeva su di lui l’onore di eguagliare, se non superare, l’inarrivabile modello delle Nove sinfonie beethoveniane, ma in questo senso egli non deluse le aspettative, visto che l’opera fu subito etichettata come “Decima”. L’incipit, con quegli accordi fortissimi che si dilatano sotto la martellante scansione del timpano, è davvero memorabile, titanico, grandioso, ma poi gli effetti un po’ teatrali di cui è costellata la partitura (un altro è quella fanfara dei corni, a metà del quarto movimento, che prelude in modo assai evocativo all’apparizione del famoso corale finale, il quale a sua volta non è altro che un omaggio all’Inno alla gioia beethoveniano), questi effetti dicevamo non ne esauriscono il fascino né ne rappresentano gli aspetti salienti. I quali vanno cercati, piuttosto, in una calibrata alternanza di momenti espressivi, di disegni melodici, in sé anche molto semplici, ma sapientemente contrastanti, o nella giustapposizione di quelli che, semplificando, potremmo chiamare il lirismo (solitamente espresso dai fiati e dai legni in particolare) da un lato, e il contrappunto (degli archi, soprattutto) dall’altro.
Ad ogni modo Luisi riesce ad ottenere dall’orchestra un’ottima resa in entrambe le cose, e se si può forse discutere sulla scelta di alcuni tempi, a tratti forse troppo concitati, e altre volte un pochino lenti, o forse anche sulle dinamiche un poco troppo sforzate in alcuni momenti dei tempi estremi, bisogna riconoscere che il filo narrativo della partitura è dipanato sempre con grande chiarezza ed espressività, a volte perfino con un nitore didascalico, che comunque riesce sempre molto gradevole e convincente (oltre che utile) per chi ascolta.
Oltretutto è evidente che di questa chiarezza e di questa cura, nei particolari così come nel disegno strutturale complessivo, l’orchestra stessa del San Carlo ha ormai gran voglia e bisogno, così come è stato evidente, durante e dopo l’esecuzione, che si fosse sviluppata una bella intesa tra orchestra e direttore: una sintonia ed una simpatia reciproca che si sono ben riflesse sugli esiti dell’esecuzione complessiva, che è stata generosa, volitiva, convincente.
Tornando alle musiche, rotto il ghiaccio col genere Brahms ebbe buon gioco nel comporre subito dopo (1877), e stavolta in poco tempo, anche la Seconda Sinfonia in re maggiore, che tuttavia differisce notevolmente dalla prima, soprattutto per il carattere meno cupo e drammatico ed invece più “pastorale”, e un andamento decisamente più placido e lineare, ancorché con molti momenti meditabondi e perfino enigmatici. Anche qui è stata molto convincente l’alternanza di scorci lirici e delicati impasti sonori (specie dei fiati), con le accelerazioni improvvise e impetuose, tenendo anche presente degli autentici preziosismi raggiunti e scaturiti in determinati momenti, perfino impensati, come quella sorta di fugato in note veloci degli archi dell’ “Allegretto grazioso” (terzo movimento), che faceva venire in mente la levità di un Mendelssohn.
Concludo rubando la frase all’amico critico di lungo corso, che mi ha confidato la sua impressione di trovarci al cospetto di un’operazione di “alfabetizzazione musicale”: l’immagine mi convince e persuade, ed aggiungo che è un’operazione meritoria e giusta, come giusto è il momento per riappropriarci tutti e definitivamente del piacere della grande musica, ripartendo, perché no, proprio dai fondamentali.