Al Teatro Mercadante di Napoli è di scena Geppy Gleijeses ne Il Fu Mattia Pascal tratto dal romanzo di Luigi Pirandello, con Nicola Di Pinto, Roberta Lucca, Giada Lorusso, Totò Onnis, Ciro Capano, Salvatore Esposito, Teo Guardini, Davide Montalbano, Francesca Iasi e con la partecipazione di Marilù Prati, per l’adattamento e la regia di Marco Tullio Giordana; una co-produzione Gitiesse Artisti Riuniti, Fondazione Teatro della Toscana e Unated Artists.
Pubblicato con grande fortuna nel 1904, Il Fu Mattia Pascal è il romanzo manifesto di Pirandello in cui il protagonista, Mattia Pascal alias Adriano Meis, si affaccia prepotentemente sulla scena europea – al pari di Zeno Cosini di Svevo, Urlich di Musil e Bardamu di Céline – come il prototipo del nuovo eroe novecentesco: l’antieroe, l’uomo senza qualità. Riconosciuto dai suoi familiari nel cadavere in decomposizione di uno sconosciuto, Mattia pensa di prendere la palla al balzo e, per sfuggire alla tirannia della suocera, di una moglie che non lo ama e dei creditori, fugge a Roma sotto le mentite spoglie di Adriano Meis. Ma anche qui si accorge che – esistendo – non può sfuggire alle fondamentali leggi che governano la nostra socialità e si risolve dunque di tornare a casa e riprendere la propria identità. Ma presto si accorge che – una volta creduto morto – è difficile farsi riaccettare anche dalla sua stessa famiglia.
Si tratta del romanzo che – in assoluto – conta il maggior numero di trasposizioni teatrali (fatto singolare, data la prolifica produzione dell’Autore come drammaturgo). Basti ricordare la storica edizione del 1974 curata da Tullio Kezich per la regia di Luigi Squarzina e quella dell’’86 di Maurizio Scaparro con Pino Micol, fino ad arrivare alle recenti versioni di Tato Russo e di Giorgio Marchesi. Questa versione è di gran lunga più breve di quelle storiche (due ore contro tre), meno “felliniana” ma ugualmente non realistica, come richiede il testo. Ci troviamo di fronte, infatti, ad una «farsa trascendentale retta dall’assurdo – dice Gleijeses – quale prova più scintillante del sentimento del contrario?», cioè dell’umorismo. «Disonestà e purezza, vita-morte – aggiunge M. T. Giordana – nel grande circo del conformismo sociale, che bolla come sicuro quello che non esiste e come inesistente quello che vive. Mantenendo una drammaturgia di stampo umoristico ritroviamo nell’opera elementi riflessivi e irrazionali che interrogano il pubblico abbattendo l’impersonalità della quarta parete. Qui Pirandello esplora temi come l’identità, la libertà e il destino, offrendo una riflessione profonda sulla natura umana e sulla ricerca di sé stessi».
Spettacolo ben congegnato e ritmato quello che Marco Tullio Giordana assembla ed offre agli applausi di un pubblico attento e soddisfatto, in cui sia il regista che il protagonista giocano con una materia ricca di spunti interessanti e anche divertenti nella loro assurdità. Il grande lavoro di riscrittura consente di procedere avanti e indietro nel tempo senza che ciò provochi il minimo spaesamento, anzi restando fedeli alla costruzione del romanzo e della sua attualissima lingua. Per la mise-en-espace ci si è affidati alla scenografia e alle luci di Gianni Carluccio che, con le sue quinte mobili fatte di velatini su cui vengono proiettate immagini a cura di Luca Condorelli-Vertov, immergono lo spettatore nelle varie ambientazioni del racconto, esaltate dai magnifici costumi di Chiara Donato. In questo spazio si muove con naturalezza, eleganza e leggerezza Geppy Gleijeses che costruisce un personaggio sfaccettato, furbo, simpatico, col quale è impossibile non immedesimarsi. Il nutrito cast di attori e attrici è il sale che rende più saporito lo spettacolo: a cominciare dal Don Eligio di Totò Onnis, poliedrico interprete dalle corde sia drammatiche che umoristiche, al Batta dell’intenso Ciro Capano, alla Vedova Pescatore della stupenda Marilù Prati. Bravura condivisa anche dagli altri interpreti.