Parliamoci chiaro oggi scrivere di teatro è da matti, pubblicare un libro sul teatro è considerata una follia bella e buona; se poi si pubblica drammaturgia contemporanea come è quella di Giovanni Meola vuol dire accettare una sida. Lo fa la casa editrice “Homo scrivens” pubblicando il libro “Teatro” di Giovanni Meola.
Quante considerazioni passano per la testa approcciando ad un volume che contiene testi del Meola: prima di tutto si è curiosi di sapere come sono stati scelti i testi presenti nel volume, visto che la sua opera è abbastanza vasta; a questa domanda risponde, per fortuna, l’autore nella sua postfazione dicendo che non ha fatto una scelta, cosa impossibile per un autore, ma sono stati più i test a farsi scegliere. Poi ci si interroga sul tipo di teatro proposto dall’autore; spesso si vuole etichettare il suo tipo di teatro come civile, ma leggendo questi testi mi domando se non sia meglio parlare semplicemente di opere teatrali nel senso più corretto, quello che non è possibile etichettare. Anche in questo caso è Meola a dire la sua «essere autori di teatro vuol dire potere e sapere di voler spaziare e cambiare, potere e sapere di voler scrivere cose diverse attraverso un ampio ventaglio di possibilità senza il timore di doversi strappare da dosso un’etichetta, la propria etichetta. Cambiare continuando a scambiare. Provarci almeno». E l’autore ci riesce ad essere questo, a fare questo a mutare, a cambiare, a spaziare tra l’intimista al paradossale, passando per il mistero, l’ambiguità, il velenoso. Multiformi, energiche, accattivanti, attraenti: così sono le opere di Meola ma in realtà è proprio l’autore ad essere così, come dice Elena Bucci nel suo saggio introduttivo: un vulcano, un moto perpetuo, un osservatore della realtà che lo circonda, in costante aggiornamento.
Un personaggio così è in grado di dare vita ad opere di teatro, ricche, piene, con personaggi dignitosi e completo, di cui l’autore deve guardarsi bene dall’innamorarsi ma che in realtà sono tutti fottutamente amati, così da dipingerli, pagina dopo pagina, sempre più a fondo, sempre più definiti. Oggi si regalano tanti premi ma, a volte, restituiscono il giusto valore alle persone e Giovanni li ha meritati proprio per il suo modo di fare teatro. Non casuale, non distratto, impegnato, vero.
Avventuratevi dunque nelle sue pagine e cercate di capire il senso profondo del teatro, facendo, magari, anche una riflessione sulla drammaturgia contemporanea troppo spessa impegnata a capire dove collocarsi e poco accetta negli ambienti rilevanti, una bestia strana da tenere relegata, quasi nascosta ai più, ma alimento e linfa vitale per spazi off, quelli dove si ritrova il senso di tante cose.
Nel vostro sfogliare le pagine troverete “Il giorno della laurea”, che vi consiglio di leggere con attenzione, l’ipnotico “L’ amore può essere crudele”, l’atto unico “Come le tessere del domino”, “L’infermiere” (inedito), “Il summit di Carnevale”, “Lo sgarro”, e “Màcula”. Non abbiate paura, fatevi travolgere dalle storie, forse capirete che il teatro è un essere in continuo movimento, non ama le etichette, ama cambiare spesso faccia. Giovanni Meola l’ha capito ora tocca a voi farlo.