Dopo il successo riscosso l’anno scorso al Teatro Sannazaro, torna al Teatro Acacia di Napoli Il Medico dei Pazzi di Eduardo Scarpetta, con Massimo De Matteo e con Giovanni Allocca, Raffaele Ausiello, Chiara Baffi, Andrea de Goyzueta, Angela De Matteo, Renato De Simone, Luciano Giugliano, Valentina Martiniello, Fabio Rossi, per l’adattamento e la regia di Claudio Di Palma; una coproduzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, S.G.A.T., Tradizione e Turismo – Teatro Sannazaro (repliche fino a dom. 3 marzo).
Scritto e andato in scena al Teatro Sannazaro nel 1908, Il Medico Dei Pazzi rappresenta l’ultimo grande successo della produzione scarpettiana. Il testo è tratto – come quasi tutti quelli di Scarpetta – da un vaudeville francese, in questo caso da Pension Chottle del 1890 di Carl Laufs e Wilhelm Jacoby. Qui, come sempre, Scarpetta non si limita a tradurre dal francese, ma adatta le situazioni e i personaggi originali alla realtà e ai tipi coevi napoletani, con l’introduzione del suo onnipresente alter-ego Felice Sciosciammocca – qui nei panni dal Sindaco di Roccasecca, zio del sedicente psichiatra del titolo – sì da ricavarne dei testi nuovi e originali. Il successo all’epoca fu clamoroso, tanto da essere ripreso per il grande schermo, nel ’54 da Mattioli che diresse Totò nel trittico scarpettiano (insieme a Un Turco Napoletano e Miseria e Nobiltà).
Degli anni Settanta è l’omaggio che Eduardo fece alla memoria del padre, registrando per la televisione questa ed altre commedie di Scarpetta, mentre nel 2015 il compositore Giorgio Battistelli ne ha tratta un’opera lirica napoletana, andata in scena con la regia di Francesco Saponaro. La vicenda è quella di un giovane sfaccendato e disoccupato, scialacquatore al gioco, che fa credere a suo zio Felice Sciosciammocca, sindaco di Roccasecca e suo ingenuo finanziatore agli studi, di essere medico a Napoli in una clinica per malati di mente. Al sopraggiungere inatteso dello zio, il giovane si affanna a tessergli contro un intricato raggiro: spaccia i clienti di un albergo da lui frequentato come i casi clinici che è impegnato a seguire e curare. In effetti, i caratteri degli ospiti rendono sufficientemente credibili agli occhi dello zio Felice le anomalie psichiche loro attribuite dal giovane e conseguentemente il poveruomo, tutto teso ad assecondare le volontà dei “pazzi”, diventa artefice e vittima di una continua e crescente serie di equivoci esilaranti…
«L’abile gioco drammaturgico di Scarpetta – riflette Di Palma – consiste nell’inserimento surreale di eccentriche zoomorfie umane in contesti e situazioni che ne accelerano il potenziale buffo e buffonesco. La sua grammatica scenica farcisce i personaggi di un linguaggio composto da strafalcioni e nonsense, articolando così vizi e manie assolutamente verosimili. È così che, ad esempio, il risibile complotto che il giovane rampollo ordisce ai danni dell’ingenuo zio Sciosciammocca diventi occasione di un’analisi dei rapporti tra il vero ed il falso, tra la sanità mentale e la follia. Qui la comicità nasce dal contrasto tra gli eventi della vita e i legittimi desideri dei più disparati avventori della pensione Stella, che inciampano in mille frustrazioni, trasformando così agli occhi di Sciosciammocca, e soprattutto del pubblico, le loro minute, quotidiane speranze in assolute follie».
Il meccanismo comico qui funziona alla perfezione, grazie anche al lavoro di adattamento che lo stesso Claudio Di Palma fa, sfrondando il testo originale di alcune situazioni e gag non più divertenti ai giorni nostri, che avrebbero solo appesantito lo spettacolo. Spettacolo che invece funziona e diverte fin dalla prima scena, con la presentazione di alcuni dei folli personaggi che animano la pensione. Anche la trasposizione agli anni fine Cinquanta – inizi Sessanta, come si evince dalle agili e belle scene di Luigi Ferrigno e dai coloratissimi costumi di Giuseppe Avallone, rende la vicenda a noi più vicina e familiare. Il buon ritmo serrato e le caratterizzazioni parossistiche degli interpreti fanno il resto. A cominciare dal vulcanico Massimo De Matteo che nel ruolo di Sciosciammocca è capace di trovate comiche divertentissime quanto di una naïveté provinciale commovente.
Il resto della compagnia si muove nel solco della grande tradizione del Teatro d’Arte napoletano. Citarne alcuni sarebbe far torto a tutti gli altri, dal momento che ognuno dà il suo contributo di lazzi comici ad uno spettacolo difficile da realizzare se non si ha il giusto bagaglio di esperienza scenica. Motivo per cui sono sempre meno frequenti questi tipi di rappresentazione. Motivo per cui questo spettacolo non si deve perdere.