Grande successo di pubblico per “Emone. La traggedia de Antigone seconno lo cunto de lo innamorato”, il nuovo spettacolo che ha debuttato, in prima assoluta, al Teatro San Ferdinando di Napoli, con la regia di Raffaele Di Florio, in scena fino a domenica 25 marzo. Il testo è stato vincitore nel 2016 del Premio per la nuova drammaturgia italiana, promosso dalla Fondazione P.L.A.TEA. La storia è quella del conflitto tra il sovrano di Tebe, Creonte e la figlia di Edipo Antigone, che vuole garantire il rito funebre a suo fratello Polinice. L’autore Antonio Piccolo ci invita a guardare gli eventi secondo il punto di vista di Emone, figlio di Creonte, cugino e promesso sposo di Antigone, e di Ismene (sorella di Antigone), altro personaggio minore della Tragedia sofoclea. Il re Creonte condanna a morte Antigone per aver disubbidito al suo ordine che vietava di seppellire Polinice. Emone cerca di scuotere il re dal suo immobilismo, riuscendo solo a ottenere la condanna del carcere a vita per la sua amata. Emone sogna, utopisticamente, un futuro dove la pace regni sovrana e dove il popolo possa esprimere liberamente il suo dissenso senza andare incontro ad aspre conseguenze. L’autore affronta il conflitto tra la prepotenza cieca del potere e il principio del diritto alla giustizia. A tal proposito va ricordata la frase pronunciata da Creonte: “è duro il compito di un re che deve fare il bene del popolo con le armi del male”. Ma i sogni di Emone sono destinati a infrangersi sullo scoglio della dura realtà. Antigone, che viene evocata dai protagonisti, senza interagire mai con loro in scena, si darà la morte in nome del diritto alla giustizia. Emone si scaglia contro il padre, rinnegandolo, per poi seguire la sua promessa sposa nel triste e inevitabile destino. Buona la prova che nel complesso offrono gli interpreti: dalla dolce e ingenua Ismene (Anna Mallamaci), al duro e sanguinario Creonte (Paolo Cresta), dalla strampalata e buffa guardia (Gino De Luca), al perdente sognatore Emone (Marcello Manzella), fino all’eroina Antigone (Valentina Gaudini). Molto indovinata la scelta del regista di intervallare i vari momenti dello spettacolo con canzoni popolari, provenienti dalla tradizione orale di differenti paesi, raccolte da Luciano Berio ed elaborate dal Maestro Salvio Vassallo. Antonio Piccolo, con una scrittura che si ispira alla colta lingua napoletana di Giovan Battista Basile, e con un adeguato ritmo poetico, dipinge efficacemente una società che fagocita se stessa, incapace di uscire dai sistemi collaudati per andare oltre. Efficace l’impianto scenico e il disegno luci dello stesso Florio, che testimoniano un non luogo (dapprima vitale come Tebe), completamente abbandonato all’incuria del tempo, dove troneggia una giostra di un Luna Park, ridotta a pezzi, muta espressione delle barbarie della guerra, e dove i protagonisti si muovono quasi come in un purgatorio.
“Si può continuare a vivere o morire senza conoscere mai la Verità” è l’amara conclusione. Applausi convinti alla prima. Da vedere.
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