“Sto Pensando di Finirla Qui” di Charlie Kaufman, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo dello scrittore canadese Iain Reid, segna il ritorno del geniale regista e sceneggiatore statunitense dietro la macchina da presa.
«Sto pensando di finirla qui»: è questa la frase che ripete continuamente nella sua testa Lucy (Jessie Buckley) mentre viaggia in macchina col suo ragazzo Jake (Jesse Plemons), che dopo solo 6 o 7 settimane dal loro primo appuntamento la sta portando a conoscere i propri genitori. Mentre i due conversano di fisica, neurologia e poesia, il flusso di pensieri della giovane rivela tutti i suoi dubbi su una relazione che non la convince eppure sta progredendo troppo velocemente. Parallelamente, ci sono scene di quotidianità che ritraggono la vita di un anziano bidello (Guy Boyd), apparentemente, senza alcun legame con i due. Quando i ragazzi arrivano a casa dei genitori di Jake, interpretati da Tony Colette e David Thewlis, la cena si rivela più inquietante del previsto e un numero crescente di dettagli iniziano a confondere Lucy, la cui percezione della realtà diventa sempre più inaffidabile. Il senso di disagio, nella protagonista come nello spettatore, cresce a dismisura fino al momento in cui la ragazza non ottiene di essere riaccompagnata a casa. Il viaggio in macchina attraverso una tormenta di neve notturna, dopo una strana sosta in una gelateria spettrale che sembra uscita dal passato, termina però nel liceo frequentato in gioventù da Jake. È qui che i protagonisti si accorgono di essere spiati dal bidello per cui Jake lo rincorre nella scuola, e dopo aver atteso a lungo in macchina, la ragazza preoccupata decide di raggiungerlo. Il film terminerà proprio all’interno di quell’edificio in cui i protagonisti si perderanno come in un labirinto di specchi che si rivelerà essere la mente di Jake, l’anziano bidello che durante il film sembrava non avere alcun legame con i due.
Il film, che si svolge quasi interamente nell’abitacolo dell’automobile di Jake, è lento e scandito da dialoghi che sembrano essere messi in atto solo per riempire il tempo e il silenzio assordante che si crea in alcuni momenti. In ogni caso, il regista riesce a creare un’atmosfera horror in un film che horror non è, lascia che lo spettatore si ponga delle domande, faccia delle ipotesi e poi si ricreda continuamente. La tensione rimane alta per l’intera durata del film, tanto da far sentire lo spettatore continuamente a disagio e curioso di capire cosa succederà.