L’attore Stefano Ariota, artista che vanta oltre trent’anni di carriera, da questo fine settimana torna di nuovo a calcare le tavole del palcoscenico. ‘O Trammamuro, questo il titolo dello spettacolo che vede come protagonista l’attore partenopeo, affiancato sul palco da Luigi Esposito, in arte Luigi Shika e Ilaria Buonaiuto. Scritto e diretto da Salvatore Formisano, ‘O Trammamuro (liberamente ispirato al “Calapranzi” di Harold Pinter) andrà in scena il 12 e 13 febbraio al Teatro Sanacore di San Giorgio a Cremano, il 19 febbraio al Teatro Bolivar di Napoli e il 12 e 13 marzo al Teatro Magma di Torre Annunziata.
Dopo un periodo di fermo a causa della pandemia, questo fine settimana torni finalmente a calcare le tavole del palcoscenico. Cosa significa questo ritorno in scena per te?
«Dopo due anni di fermo, dovuti appunto al problema pandemico, tornare sul palcoscenico per me è sempre come la prima volta. Per me ogni qualvolta che faccio uno spettacolo è come se fosse il primo giorno di lavoro. Con tutta l’esperienza, con tutti i piacevoli incontri che ho avuto nel corso della mia carriera, l’emozione, la paura, l’ansia di fare le cose bene c’è sempre».
È la prima volta che collabori con Salvatore Formisano. Com’è nata quest’amicizia artistica e in che modo si è evoluta in questi mesi nel lavorare a questo spettacolo teatrale?
«Lavorare con un regista nuovo per me è sempre una buona esperienza, perché ognuno nel suo stile fa il proprio lavoro, quindi per me avere incontrato Salvatore a livello professionale è stato una scoperta, perché non conoscevo lui e lui non conosceva me. Ha seguito alcune dei miei spettacoli, come anche io ho visto alcune delle sue messe in scena, quindi essere scelto in uno spettacolo da lui scritto e diretto mi ha fatto veramente piacere. Ci abbiamo messo un po’ per portarlo in scena, abbiamo lavorato tanto, ma alla fine il tutto si è evoluto bene. Ci siamo conosciuti di più, ci siamo confrontati, abbiamo condiviso insieme i dubbi, le incertezze e questo è stato davvero costruttivo. Salvatore è stato anche molto bravo a creare una sinergia, un amore, una passione nel gruppo senza mettere competizione, anche se ci può essere, ma in questo caso non è successo, quindi il merito principalmente di tutto va a lui».
Qual è stata la tua prima impressione dopo aver letto la sceneggiatura di ‘O Trammamuro?
«La prima impressione mi ha riportato ad uno spettacolo che già avevo fatto più di dieci anni fa. Leggendo la sceneggiatura dello spettacolo ‘O Trammamuro mi ha riportato a rivivere quel genere di emozioni, di cinismo, di solitudine che procurava il precedente spettacolo. Certo, la differenza tra i due testi è notevole, poiché qui parliamo di un autore come Pinter che in questo caso viene diretto in un linguaggio napoletano, quindi la cosa mi ha molto incuriosito. A me piace molto mettermi in discussione. Non amo la formalità nel mio lavoro, mi annoia. Amo molto le provocazioni, il confronto molto forte, quindi ho apprezzato molto il modo con cui Salvatore ha adattato il testo di Pinter».
Cosa ti ha colpito in particolar modo del testo?
«Sicuramente quello di usare i suoni e i colori del napoletano, che naturalmente si associano anche al personaggio che io interpreto. È stato particolarmente bello vedere il confronto tra il testo di Pinter e l’adattamento di Salvatore, anche se la storia è rimasta quella. Però questo modo del linguaggio napoletano, questo bel masticare le parole è stato davvero facile approcciarmi, perché la parola napoletana ha un suono, un colore, una marcia in più. Del testo mi ha colpito molto questo senso di non espatriare troppo nel linguaggio, di essere molto autoctono, di cercare di riservare una tradizione, essere molto rispettoso nei confronti di questo modo di scrivere e questo in particolar modo ha rafforzato il mio interesse al testo, perché ha dato un valore fondamentale».
Che valore hai dato al tuo personaggio e cosa in particolare ti trasmette nell’interpretarlo?
«Gli ho dato un valore fondamentale, perché questo ruolo mi ha trasmesso il potere, il ruolo di comandare, di poter dirigere, però allo stesso tempo serviva anche una sorte di sostegno che me lo procura l’altro personaggio che è con me in scena».
In oltre 30 anni di carriera hai lavorato con grandi nomi del panorama nazionale ed internazionale. Di chi conservi un ricordo particolare?
«Potrei dirti tanti nomi. Li porto tutti con me, perché ognuno nel suo genere mi ha insegnato qualcosa. La cosa che mi manca è quando questi personaggi, con una grande carriera alle spalle, mi raccontavano episodi, aneddoti, quindi ognuno mi ha lasciato un granello di ricordo che me lo porto nel mio bagaglio. Per me conoscere e affrontare dei personaggi nuovi che hanno avuto questa grande carriera alle spalle è sempre affascinante».
Stai lavorando anche ad altri progetti?
«Sto macinando delle idee, che vorrei portare prossimamente in scena, anche se il mio prossimamente può essere anche tra due anni. Spero soltanto che quello che farò mi gratifichi umanamente ancora di più, perché nel nostro settore c’è molta competizione, molto arrivismo, il contesto dell’artista è strano perché tutti nell’ambito sono egocentrici, nessun escluso, sono egoisti. Però dico sempre, guai se non ci fosse questo lavoro, come diceva la grande Anna Magnani. Guai se non ci fossero gli attori, i registi, gli autori, i produttori e tutti i collaboratori, scenografi, macchinisti, costumisti, sarte, amministratori, segretarie, tutti sono fondamentali nel nostro settore».