Il talento straordinario di Stefano Accorsi è stato apprezzato e riconosciuto da registi di fama nazionale ed internazionale come Mario Monicelli, Pupi Avati, Ferzan Özpetek, Philippe Claudel, Gabriele Muccino, Philippe Claudel, Sergio Castellitto, giusto per citarne alcuni. Tra i suoi film ricordiamo “Fratelli e sorelle”, “Radiofreccia” “L’ultimo bacio”, “Le fate ignoranti”, “Romanzo Criminale”, “Fortunata”, “Veloce come il vento”. Alla nona edizione del Social World Film Festival, l’attore bolognese (che il 28 novembre vedremo al cinema nel nuovo film di Ferzan Özpetek “La Dea Fortuna”) è stato ospite della kermesse cinematografica in veste di padrino.
Ospite al Social World Film Festival in veste di padrino, cosa pensi di questa giovane kermesse?
«È un festival giovane, pensato da persone giovani, che non imita altri festival, ideato come qualcosa di originale, in cui la funzione e il contatto con le persone possa essere più semplice, dando una specificità a questo festival unica. Penso che siano importanti gli incontri, i confronti, gli scambi, e quando in una manifestazione come questa c’è modo di confrontarsi, penso sia una cosa preziosa».
Qual è il pensiero sul cinema sociale?
«Credo che il cinema sociale, come il teatro sociale o tutte le cose che includono questa parola non debbano essere fatti con un approccio moralista, mettendo a frutto solo la propria indignazione. Il grande cinema nasce dalla necessità di raccontare delle storie, spesso sono storie sociali. Il cinema per essere definito grande deve raccontare fatti e non parole, molto spesso si vedono solo le parole e questo non va bene».
Il prossimo 28 novembre sarai al cinema in veste di protagonista de “La Dea Fortuna” il nuovo film di Ferzan Özpetek, un lavoro che segna la tua terza collaborazione con il regista turco dopo “Le fate ignoranti” e “Saturno contro”…
«”La Dea Fortuna” racconta la storia di una coppia omosessuale insieme da 12 anni che sta attraversando un periodo di profonda crisi, una cosa atipica da vedere al cinema. L’elemento sorprendente è che un’amica della coppia, che deve fare dei controlli in ospedale per tre giorni, lascia i suoi figli alla coppia poiché sono le uniche persone di cui si fida ciecamente. I giorni di controlli in ospedale aumentano e la coppia si trova a convivere con questi bambini. Si crea un rapporto, uno scambio di emozioni, con affetto e amore. Il cinema sociale di Özpetek, porta sul grande schermo la storia di persone che si vogliono bene, che si ritrovano a vivere determinate situazioni, senza fare alcun tipo di morale».
Il film “Il campione” è stato di grande impatto sociale. Quanto ha contato per te interpretare un ruolo così forte, mostrando come nasce un legame di amicizia?
«Nel film si parla dell’incontro tra un giovane calciatore della Roma, dal grande talento ingestibile, ed un professore. Il presidente della Roma, per far studiare il calciatore, decide di affiancarlo ad un professore, con la condizione che se lui non dovesse superare gli esami non avrebbe la possibilità di giocare, così piano piano il ragazzo si arrende. Mentre i suoi amici parassiti sono interessati solo alla sua ricchezza, lui instaura con il professore un rapporto di amicizia, quasi un rapporto padre figlio. Questo film affronta un tema sociale senza essere retorici e moralisti. Tra l’altro anche il mondo del calcio è raccontato molto bene, grazie al produttore e al regista».
Negli ultimi anni la strada tra i giovani e il cinema sembra si sia accorciata. Cosa ricordi dei tuoi inizi?
«Quando ho cominciato era un altro periodo, non c’era internet. Sognavo di fare l’attore sin dall’età di 7 anni. Poi crescendo la passione era sempre la stessa. A quei tempi i film non erano per i giovani. Quando ho finito il liceo ho cominciato la scuola di teatro. Oggi, ad esempio, un ragazzo di diciotto anni può fare il protagonista in un film. La possibilità di avere successo è diversa, attraverso i reality, i talent, i social. Se un ragazzo ha un po’ di talento con il telefonino può fare tutto».
Un consiglio che ti è stato dato agli inizi della tua carriera e che vuoi condividere?
«In terza media, una delle mie professoresse mi consigliò di frequentare la Scuola di Teatro di Bologna ”Alessandra Galante Garrone”. Ho accettato il consiglio e dopo averla visitata, mi sono fidato del mio istinto e l’ho scelta».
Quattro anni fa hai ideato la serie tv “1992” dedicata alle vicende che hanno portato allo scoppio di Tangentopoli, una saga che ha avuto seguito con “1993” e “1994”, il terzo e ultimo capito in uscita il prossimo autunno. Come è nata l’esigenza di parlare di politica?
«La mia passione per la politica nel periodo è legata all’inchiesta giudiziaria “Mani pulite”. Quando ero piccolo, durante il periodo della Democrazia Cristiana non mi sentivo coinvolto dal mondo politico. A vent’anni sognai che Berlusconi era mio padre, ed ero assolutamente contrario a quello che stava facendo come politico. Ho ideato questa serie poiché avevo curiosità di raccontare il dietro le quinte, analizzando alcune cose dall’interno».
Tra i film che hai interpretato in passato ce n’è uno che ancora oggi risulti essere attuale?
«Sicuramente “Le fate ignoranti” e “L’ultimo bacio”, perché ancora oggi ricevo lettere di persone che mi scrivono e mi parlano di questi due film».