Già dal nome si può capire che difficilmente ascolteremo da loro una melensa ballata che racconta un amore finito e rimpianto, o forse lo faranno proprio perché da loro ci si attenderebbe dell’altro. Ma sicuramente sapranno rileggere un classico tema della musica melodica italiana con la loro mai scontata e profondamente celebrale ironia. Se state cercando sonorità singolari e ricercate, unite a un dissacrante e cinico racconto della realtà, allora avete trovato la band che fa per voi. Gli Stanley Rubik, giovanissima formazione , promette di divertire, ispirare e farsi sentire per molto tempo, noi ve li presentiamo così.
Il vostro nome porta alla mente il regista Stanley Kubrick, e l’inventore del classicissimo cubo, nella vostra musica io riconosco l’eco Kubrikiano nei testi, e il cubo nella complessità dei suoni, il nome della band è dunque un gioco di parole montato sull’assonanza o un preciso richiamo a qualcosa, e se sì cosa?
«Sì, ci piacciono i giochi di parole oltre Stanley Rubik in un primo momento eravamo indecisi tra “Lilli Kruger” e “Frankestein Goes To Bollywood”, poi i testi hanno preso una piega meno ottimistica rispetto ai propositi iniziali e quindi ci siamo indirizzati verso un’idea semplicemente più psicotica e contorta, come nel cubo di Rubik.»
La complessità dei suoni dei vostri pezzi nasce secondo me principalmente da una fusione molto ben riuscita tra atmosfere ed effetti tipicamente elettronici sapientemente miscelati a suoni e linee vocali, in alcuni frangenti, vicini al rock, con una “spruzzata” qua e là, di ritmi quasi dance/ossessivi. Questa ricchezza di suoni nasce da esperienze e backgorund diversi o da una ricerca di suoni specifici?
«La fortuna a volte di trovare un suono caratterizzante dipende molto da quello che uno non possiede ed è quindi portato ad apprendere, a scoprire. Apparentemente vedendoci dal vivo tutto questo sembra contraddittorio, manca solo che ci portiamo il televisore e il divano! Però in fase di produzione cerchiamo di andare oltre I vari paletti compositivi, con la speranza di trovare sempre il giusto equilibrio.»
Il vostro EP si chiama “Lapubblicaquiete”, ci spiegate cos’è?
«È uno strano oggetto tondo composto da un disco di policarbonato trasparente e una sottile lamina metallica esterna nella quale sono state memorizzate e rinchiuse le anomalie di un sistema apparentemente perfetto che ci piace definire la pubblica quiete. Sono racchiusi tutti I nostri pensieri, tutto quello che avevamo da dire. Ma abbiamo pronte tante altre canzoni.»
La band nasce sul luogo di lavoro, quindi già vi conoscevate, ma come si decide di fare musica assieme, è tutta “questione di feeling”?
«Tutto è nato da un feeling iniziale tra Gianluca e Dario. La corrisposta noia è stato ciò che poi ha dato origine a tutto. In seguito si sono aggiunti gli altri due annoiati, Andrea e Domenico: tutti stranamente appassionati di musica.»
Avete progetti in cantiere per la prossima stagione estiva?
«Sicuramente promuovere questo EP che è solo un antipasto di quello che poi uscirà in futuro. E poi suonare, suonare, suonare.»