La pioggia, il vento e le brutte giornate di questo periodo hanno sicuramente favorito il desiderio e la voglia irresistibile di esporsi al sole ma l’ultimo studio appena pubblicato su Science, rivela un nuovo meccanismo cancerogeno a scoppio ritardato, che si aggiunge a quello innescato dalle radiazioni solari nell’immediato.
Sanjay Premi della Yale University ed i colleghi hanno infatti scoperto che le cellule responsabili della colorazione della pelle, ossia melanociti, possono accumulare mutazioni pericolose anche nelle due o tre ore successive all’esposizione al sole:probabilmente i radicali liberi prodotti dalle radiazioni eccitano un elettrone della melanina e quando questa energia viene rilasciata il Dna subirebbe ulteriori lesioni. Quello che generalmente consideriamo un pigmento protettivo ha, in realtà dunque, anche un potenziale foto-tossico soprattutto nei soggetti con i capelli rossi e occhi azzurri, pelle chiara e lentiggini.
Occorre dunque cambiare le nostre abitudini e gli autori dello studio immaginano a tale proposito che nel futuro oltre alla crema pre-esposizione occorrerebbe usare anche un prodotto protettivo post-esposizione. Le creme solari tuttavia non bastano per proteggere la pelle e ci sono alcuni dermatologi i quali sostengono che: «La cultura delle creme solari può essere controproducente. Perché ci illudono di poter restare impunemente al sole». Chi usa le creme con filtri chimici per gli ultravioletti ha infatti spesso un falso senso di sicurezza rispetto a chi si ripara restando all’ombra od indossando cappelli e vestiti, confermano le ricerche di Eleni Linos dell’Università della California a San Francisco.
Ad ostacolare la prevenzione è inoltre l’idea diffusa nella cultura occidentale contemporanea che la “pelle abbronzata sia più bella” ed «È così che i melanomi continuano a crescere e colpiscono in misura sempre maggiore giovani e donne. Anche i carcinomi cutanei sono in aumento». Spesso poi l’ esposizione sporadica al sole, tipica dei vacanzieri, sembra essere anche più pericolosa di quella continuativa a cui è sottoposto chi lavora all’aria aperta.
Cosa fare allora? La diagnosi precoce consente di salvare quasi tutti dal melanoma ma è necessario intervenire nei primi 6-12 mesi.
La ricetta più efficace che segnaliamo ai nostri lettori per proteggersi dal melanoma probabilmente è quella che e stata sperimentata in Australia: creare aree ombreggiate nei luoghi all’aperto ed educare sui rischi favorendo un cambiamento culturale rispetto alla desiderabilità dell’abbronzatura, ossia: «Che ci piaccia oppure no, anche quando andiamo in spiaggia, dovremmo imparare a coprirci di più».