Avere a che fare con Paolo Cevoli e Antonio Orefice pochi minuti dopo l’anteprima nazionale di “Soldato Semplice” è stata un’esperienza formativa, che sono riuscita a trasformare lentamente.
Il primo film di Cevoli, “Soldato Semplice” è nelle sale dal 2 aprile 2015 e, personalmente, spero ci resti ancora per molto.
I due protagonisti, Cevoli e Orefice, hanno dimostrato cosa voglia dire professionalità. Entrambi gli attori, infatti, sono conosciuti per ruoli ‘scomodi’: il primo viene sempre associato al comico assessore di Zelig, il secondo alla serie tv Gomorra. Con “Soldato Semplice” è palese una rinascita dei personaggi, motivo forse per cui ho deciso di scrivere questa doppia intervista proprio in questa particolare giornata.
Antonio, in questo film eri tu l’unico scugnizzo e quindi l’unico rappresentante della filosofica comicità napoletana. Com’è stata quest’esperienza?
«Posso definirla un’avventura iniziata bene e conclusasi anche meglio. Già dai casting è stato tutto molto intenso e particolare, poi siamo stati cinque settimane in Valtellina al freddo e una a Capri al caldo: non sono cose che capitano tutti i giorni.»
Quanto c’è di te nel personaggio che hai interpretato?
«Tantissimo: Aniello Pasquale è un ragazzo che rispetta la patria, la famiglia e la religione e queste caratteristiche lo rendono proprio uno ‘scugnizzo’ come me.»
Come è stato passare da “Gomorra” a “Soldato Semplice”?
«Formativo e importante: un attore deve confrontarsi con tanti personaggi, non indossare un’unica maschera e questa è stata un’opportunità fondamentale per la mia crescita professionale.»
“Gomorra” è stato e continua ad essere un fenomeno mediatico, cosa ti aspetti da questo film invece?
«Mi aspetto che la gente vada a vederlo perché è una pellicola in cui c’è di tutto: comicità e drammaticità messe insieme da un filo rosso cultuale e storico non indifferente, insomma non è il solito cinepanettone. Se gli spettatori ci credono quanto ci crediamo noi allora potrà avere un bel successo.»
Paolo, l’essenza Di “Soldato Semplice” può essere racchiusa in una delle ultime battute del film. In un mini dialogo tra lei che è l’insegnante Montanari e il giovane Aniello, quest’ultimo l’accusa di essere un “maestro che non sa imparare”. Ancora una volta, come per tutto il film, lei corregge lo scugnizzo, ma in realtà è proprio vero che lei non sa “imparare”, non crede?
«Verissimo: non tutti colgono questa sfumatura, sono felicissimo che tu sia riuscita a farla venire fuori. Il mio difetto è che io guardo ma non vedo e non riesco a vivere perché non imparo niente dalla vita. Aniello invece mette sempre in gioco il suo cuore e quindi impara. Io no: il maestro Montanari guarda sempre in basso, non impara niente: è già “imparato”.»
Alla fine del film però, quando il maestro diventa cieco riesce finalmente a vedere e ad essere un insegnante vero, perché “insegnare” vuol dire per l’appunto ‘segnare dentro’…
«Vedo tutto perché Aniello mi tiene per mano, lo scugnizzo in realtà mi guida in moltissime scene. Dovrei essere io il padre e lui il figlio, ma capita l’esatto contrario. Ecco spiegato anche perché il film inizia con un salmo di re Davide in cui si parla della morte del figlio Assalonne. In questo salmo il re oramai vecchio dice: “sarei dovuto morire io al posto di mio figlio”. Ecco che con questo lavoro voglio anche sottolineare che si è veramente padri quando si è disposti a morire al posto dei figli.»
Nel girare questo film avrebbe potuto giocare la carta della comicità, ma non lo ha fatto. Ha voluto rischiare, non è vero?
«Avrei potuto spingere su altri fronti con facilità, ma ho voluto fare un film che non è né documentaristico, né didascalico: semplicemente dentro c’è molta umanità. Penso che oggi la gente abbia bisogno di poesia e questo film non stanca perché si racconta la vita con le sue gioie e i suoi dolori.
Spero soprattutto che i ragazzi venendo a vedere questo film possano incuriosirsi e magari leggere qualcosa sulla Grande Guerra, chiedere ai nonni magari, documentarsi su internet. Il mio augurio è che “Soldato Semplice” faccia scoccare una piccola scintilla di curiosità.»