“Soiré à Circé” è uno spettacolo musicale, impegnativo e suggestivo, che Claudio Lugo, compositore sperimentale, sassofonista, direttore d’orchestra e performer milanese
(ma genovese d’adozione e lungamente in rapporto anche con la nostra città), ha creato ispirandosi al trattato “Cantus Circaeus” di Giordano Bruno.
Lo spettacolo è andato alla Sala Assoli, eseguito dall’Ensemble Barocco di Napoli, con la partecipazione del soprano Roberta Invernizzi e della voce recitante di Guido Caserza e sotto la direzione dello stesso Lugo, nell’ambito della rassegna “Sorgenti” di Dissonanzen.
Il testo letterario di partenza, quello bruniano, è complicato, ancorché traslato in un italiano piano dall’originale latino, che fu scritto dal Nolano nel 1582.
Infatti nel “Cantus Circaeus”, ossia “Canto di Circe”, il filosofo desumeva dalla Circe omerica, la semidivina figlia del Sole che aveva trasformato gli uomini di Ulisse in maiali, soltanto lo spunto, ma per fare poi, in sostanza, una critica sociale e culturale molto più dettagliata e anche molto più feroce.
Infatti la sua Circe, interpellata dall’assistente Meri, spiega di sapere estendere la propria magia fino a trasformare il genere umano in un bestiario ben più ampio e variegato, e di poter fare ciò partendo da un assunto incontrovertibile, eterno e sempre attuale:
che sotto la scorza umana si celano sempre animi ed istinti ferini, tali da rendere corpo e aspetto esteriore nient’altro che dimore ingannevoli e cieche, meritevoli di essere comunque rimosse e sradicate, per far posto alla verità, una verità spesso bestiale, appunto.
Ed ecco che dietro la parvenza di asini raglianti, cavalli scalcianti, pecore belanti e buoi muggenti, Giordano Bruno disvela, ed addita senz’altro al mondo, la vasta schiera dei saccenti autoreferenziali e degli instancabili “parlatori”;
così come dietro ai gentili usignoli ci sarebbero i “lusingatori”, i “poetastri laureati” e forse perfino i “lascivi musicisti”; invece dietro alle bizzarre creature acquatiche, ci stanno corrotti e corruttori;
o ancora, dietro ai cani latranti, nient’altro che i bruti ignoranti; ed infine dietro alle lucciole, i filosofi, forse gli unici personaggi positivi, benché “stretti nell’aria affollata dagli idioti, dagli asini e dai mediocri”.
Un testo meravigliosamente attuale, come si vede, che siamo grati a Claudio Lugo per aver rispolverato ed avercelo proposto, in questi tempi così cupi ed avari verso le proposte genuinamente culturali.
Ma “Soiré à Circé”, comunque, è primariamente musicale, ed infatti per quanto concerne la composizione, che Lugo chiama “cantata profana”,
viene operata solo una selezione dal testo originale, limitata ad alcune scene, o meglio “Questioni”, tra quelle più suggestive ed espressive.
La musicazione è parimenti suggestiva, consistendo di uno sfondo sonoro, quasi sempre in scrittura contrappuntistica, ben sorretto e ricreato dall’ ensemble di strumenti ad arco: Marco Piantoni e Eleonora Amato, violini, Vezio Jorio, viola, Manuela Albano, violoncello, Giorgio Sanvito, contrabbasso.
Sul quale sfondo spicca e spesso svetta la voce, duttilissima, variegata e sempre espressiva, di Roberta Invernizzi, la quale peraltro intona porzioni di testo non tradotte in italiano, ma rimaste nell’originale latino: prezioso arcaismo che evidentemente sfrutta, oltre al resto, anche la trama fonica insita nella lingua.
Anche i flauti di Tommaso Rossi sono spesso impiegati in una guisa solistica, con interventi a tratti mordenti e raspodici, a tratti suadenti e perfino melodici, ancorché sempre brevi. E a proposito di melodia, sia chiaro che qui la composizione, in quanto di estrazione sperimentale, è tutto fuorché melodica;
dunque, se qualche tradizionalista nel pubblico fosse venuto a cercare quello che la partitura non poteva dare né essere, sarà rimasto deluso.
Non è affatto rimasto deluso, invece, chi scrive, che ha apprezzato la qualità complessiva del discorso musicale, compresa quella che ci è parsa essere una sua cifra caratteristica, ossia il descrittivismo sonoro: gli echi dei frusci delle foglie, i versi animaleschi, il rumore dell’acqua, ecc.
Ed ha apprezzato, specialmente, i delicati “preludi” o “intermezzi” tra una Lettura e l’altra, davvero ben strutturati e solidamente composti.
Sempre restando ai ruoli strumentali, interessante è pure che alla chitarra elettrica (Giovanni Martinelli) fosse affidata, con bel contrasto di sonorità tra gli strumenti, una sorta di rango para-musicale e da “rumorista”: riflesso forse di un concetto non proprio elevato che il compositore Lugo possa avere dello strumento principe nel genere pop-rock? Non lo sappiamo, ma nel dubbio la lasciamo come ipotesi, senza malizia.
Ed è stata buona, anzi ottima, la resa interpretativa della voce recitante di Guido Caserza, pacato ma incisivo.
Prima del “Canto di Circe”, che costituiva il piatto forte della serata, il folto pubblico accorso in sala ha potuto gustare tre brevi e rare composizioni seicentesche per voce sola, della compositrice Francesca Caccini (1587-1641), ottimamente eseguite dalla Invernizzi, accompagnata all’arciliuto dal bravo Ugo Di Giovanni.
Subito dopo, un’altra breve composizione dello stesso Lugo, intitolata “Amarilli”, che ci è parsa una sorta di ‘studio’ musicale e fonico basato sulle vocali stesse della parola del titolo.