Il Sogno di Partenope (prodotto da Piero de Asmundis) è il nuovo lavoro discografico di Roberto Michelangelo Giordi, il quarto dopo i precedenti Con il mio nome, Gli amanti di Magritte e Il Soffio. In questo disco, in uscita in Italia il 12 aprile, Giordi dà voce ad un racconto su la città di Napoli attraverso le note ed i versi della tradizione partenopea più antica. Concepito a Parigi e realizzato a Napoli, Il Sogno di Partenope (Disques Dom) rompe ufficialmente con i clichet della tradizione vocale cercando di ricollocare le melodie antiche nei territori ancora inesplorati della world music, del folk e della musica da camera. Nell’album troviamo molte collaborazioni speciali: al sassofono Daniele Sepe, al clarinetto Pericle Odierna, alla voce Brunella Selo, al violino, mandolino e lira pontiaca Michele Signore e alle percussioni Ciccio Merolla.
Il 12 aprile esce in Italia il tuo nuovo lavoro discografico “Il Sogno di Partenope”. Ce ne vuoi parlare?
«È un disco pensato a Parigi ma prodotto a Napoli e dettato dal bisogno di riscoperta delle mie radici. Mi affascinava l’idea di dare voce ai classici della canzone d’autore e popolare partenopea. Mi sono divertito a snaturare le composizioni sotto il profilo armonico lasciando tuttavia intatte le melodie».
Cosa rappresenta per te questo nuovo disco?
«Rappresenta il bisogno di cantare la mia terra, raccontarla in maniera più mite, con più grazia, senza l’abusata e sterile violenza che di solito emerge da molti esempi di canzoni popolari di oggi o dai racconti sceneggiati e trasmessi dalle Tv commerciali».
Questo è il tuo quarto album, in cosa si differenzia dai precedenti?
«In questo album c’è principalmente il canto della sirena Partenope, ed è ben riconoscibile, laddove nei primi tre ci sono le mie emozioni, i miei sogni e le mie melodie».
Dopo l’Italia l’album sarà pubblicato anche in Francia, quali sono le differenze che riscontri musicalmente tra questi due Paesi?
«In Francia c’è sicuramente più rispetto per l’artista e per la sua professione che viene socialmente riconosciuta. In Italia invece, e mi rincresce dirlo, la società continua a muovere dei passi all’indietro, e non fa altro che creare ostacoli agli artisti, soprattutto quando hanno qualcosa di bello e di autentico da raccontare».
Proprio in Francia hai debuttato con “Les amants de Magritte”, seguito anche da un tour che è andato bene. Ti aspettavi questa accoglienza?
«Assolutamente no. Sono arrivato a Parigi che non conoscevo nemmeno una parola di francese e ho avuto la fortuna di fare degli ottimi incontri che mi hanno permesso di crescere professionalmente e arricchito, ovviamente, sotto il profilo umano».
Ne “Il sogno di Partenope” troviamo molte collaborazioni come Daniele Sepe, Pericle Odierna, Brunella Selo, Michele Signore e Ciccio Merolla. Come sono nate?
«Guarda, quando sono arrivato nello studio di Piero de Asmundis, il produttore artistico del disco, e lui mi ha fatto tutti questi nomi, sono letteralmente impazzito di gioia. Sono artisti che conosco da tempo e che seguo con molto interesse, e ritrovarmeli in studio a suonare e cantare con me mi ha reso davvero felice».
Le 15 tracce che compongono l’album sono un omaggio alla canzone classica partenopea, un racconto di Napoli in cui rimescoli la tradizione con il jazz e la world music.
«È stato bellissimo partire dalle composizioni classiche e condurle nei territori ancora inesplorati del jazz e della world music. È stato divertente tradurre al francese un brano come “La rosa” di Mercadante e cantarla su un andante cool jazz, togliere la voce del mandolino a “Fenesta vascia” per sostituirla con quella lacerante e passionale del sassofono suonato da Daniele Sepe, ed aggiungere al quadretto estatico di campagna di “’Mmiez’ô ggrano” la voce mistica del duduk armeno. Spero che i puristi potranno perdonarmi».
Quando e come sono nati questi brani?
«Passeggiando per Parigi; guardavo i tetti dei palazzi innevati e sognavo la baia di Napoli definita da nuovi contorni e tenui sfumature di colori. Avevo tutto bene in mente ma non sapevo da dove partire e per cominciare dovevo tornare a casa per un po’. E così è stato. Ho fatto fatica a scegliere le canzoni tradizionali in un vastissimo repertorio. Ho scelto di aggiungere alla lista tre miei inediti che rimandano a Napoli, per sonorità, lingua e storia. C’è “Cronache globali degli anni Zero” nella quale viene citata esplicitamente la melodia del “canto a ffigliola” della zona vesuviana supportata da un testo satirico contro l’odierna società e le sue ambigue figure istituzionali. C’è “Luna nova” che è una ballata romantica in lingua napoletana, e per finire c’è “Il sogno di Partenope”, un racconto favolistico e surreale che ci riporta alla memoria l’esperimento fallito della Repubblica Partenopea istituita dall’esercito dei giacobini francesi nel 1799».
Hai fatto degli studi sulla musica antica partenopea, come ti sei avvicinato e quanto hanno influito sulle tue scelte artistiche?
«Benché abbia sempre rivolto il mio sguardo altrove, sulle diverse lingue e culture del mondo (per natura sono un curioso e un viaggiatore), ho sempre conservato lo humus partenopeo e forse è proprio a lui che devo rendere grazie».
Sei tra i finalisti a Musicultura 2019 con il brano “Cronache globali degli anni Zero” vincendo il premio della giuria.
«Non pensavo affatto di iscrivermi a Musicultura quest’anno ma poi riflettendo sul soggetto delle mie canzoni e considerando il clima sociale attuale ho pensato che le nuove composizioni potessero piacere alla commissione ed infatti così è stato. Sono felicissimo di essere arrivato tra i finalisti ed aver vinto il premio della giuria “un certain regard”, ne sono felice perché quello di Musicultura è un bel palcoscenico, un posto dove la musica non ha bisogno di altro che di se stessa».
Dopo l’uscita dell’album seguiranno dei live?
«Presenterò il disco a Napoli, Roma e Parigi e mi auguro di fare tanti altri concerti per promuovere la bella Partenope».