Teatro Bellini, Napoli, 14 marzo 2014. Immaginate una grossa barca a vela fatta con un letto di metallo rosso con tanto di salvagente posizionato in fondo, una grossa tenda e, sopra ogni cosa, una grande scopa a tenere insieme il tutto. Immaginate una pagliaccio di nome Slava al timone con la sua morbidosa tuta gialla. Immaginate un mare di neve e, soprattutto, un oceano di fantasia. Perché con il capitano Slava funziona così: si viaggia attraverso onde chimeriche che, mano a mano, diventano reali fino a far bagnare tutti. Bagnare, non affondare. Immaginate repentine incursioni di rotta e incontri improvvisi che cambiano il corso degli eventi: squali dalle grandi pinne, manichini che prendono vita fino a farci sentire le pulsazioni del loro cuore e spaventosi ragni giganti dei quali però nessuno ha paura.
Fantasia che diventa realtà e sogni che si avverano, anche se solo per un’ora e mezzo.
Si dice che la neve non faccia rumore, con lo Slava’s Snow Show di certo a ogni fiocco corrisponde però una precisa nota musicale. Con la neve di Slava si viaggia per accelerazioni, rallentamenti e slittamenti. Si macinano chilometri grazie a un treno che accoglie col suo fischio il pubblico già prima dell’inizio dello spettacolo. Si assaporano sogni grazie ai cinque sensi, all’intelletto e al cuore mentre si vive nella convinzione che esiste qualcuno in grado di utilizzare la coltre bianca come muro protettivo tra il mondo esterno e il luogo teatrale. A quindici minuti dall’inizio dello spettacolo, il pubblico è già diventato un’anima sola. Non c’è più nessun ottantenne, trentenne o semplicemente il bimbo di dieci anni. Si trova e ci si ritrova in un corpo unico che decide di lasciarsi incantare dai clown e dalle loro meraviglie.
Ecco quindi come la neve si colora e cambia musica a seconda delle circostanze: sembra di essere in quadro di Kandinsky nel quale si entra grazie alle note de “La Petite Fille de la Mer” del musicista greco Vangelis, colonna sonora di tutto il nostro viaggio. Nevica a tempo di fisarmonica e la famosa scopa, elemento principale della nostra avventura, si trasforma in contrabbasso e violoncello a seconda dei fiocchi.
Risate meravigliate di bambini, tenerezza nel cuore degli adulti. Centinaia di persone di cui si (ri)conosce soltanto il sorriso. Pioggia, coriandoli, bolle di sapone, palloni e palloncini. Innocenza, spensieratezza, gioia. Slava non è più solo sul palco o su una delle tante poltrone del teatro su cui si diverte a stare in equilibrio. Slava è dentro di noi. Slava siamo noi.
Ed ecco che il pubblico, immerso in questa “fiaba tra le fiabe”, diventa protagonista e spettatore allo stesso tempo. Lo spettacolo non finisce ma si tramuta in un gioco a cui gli adulti non sono più abituati, gioco a cui tutti vogliono continuare a partecipare. L’iniziale imbarazzo lascia spazio alla curiosità e al desiderio, esplodendo in pura felicità. I genitori si divertono a giocare con i clown insieme ai loro bambini, entusiasti più dei loro stessi figli.
E, mentre in sala si avverte questo improvviso desiderio di restare tra la neve, Slava da un angolo seminascosto del palcoscenico contempla il pubblico con gli occhi lucidi di commozione. La stessa commozione che, fino a qualche minuto prima, aveva riempito gli occhi degli spettatori che lo stavano ammirando.
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