Sono insieme dal 1999 ma al grande pubblico sono arrivati solo nel 2011 con l’album Get Your Heart On!. I Simple Plan dal Quebec hanno conquistato il mondo con il loro punk rock spensierato che è degno prosecutore degli esperimenti mainstream di fine anni 90 di band come Blink 182 e simili. Ora tornano con degli assaggi ben recepiti di un nuovo disco in programma per il 2016. Si chiamano Boom e I Don’t Wanna Go To Bed e ne abbiamo parlato in occasione della loro visita lampo in Italia.
Lanciare singoli prima di un album è una strategia a cui avete pensato coscientemente?
«Più che strategia è un modo per dire “scusateci” ai nostri fans perché ci chiedono sempre di rimanere attivi facendo nuova musica. Sappiamo che ce ne sono tanti che aspettano, ma avendo fatto un tour lungo per il disco precedente non avevamo molto tempo per scrivere e registrare come volevamo.»
Come nasce un vostro disco?
«Siamo dei perfezionisti e per noi è importante che l’album sia un’esperienza che duri molto tempo, quindi ci vuole tempo per farlo. E poi arriva un momento in cui ci rendiamo conto tutti assieme che la cosa sta nascendo e la dobbiamo lasciare andare. Questa volta ha preso più tempo del solito perché facevamo concerti e tornavamo in studio dicendo: non possiamo non mettere questa!»
E la cosa crea problemi nel vostro entourage?
«No, anzi la casa discografica ci è sempre stata molto vicini, ci fa prendere il tempo che vogliamo e sappiamo ora che è pronto ed entro dicembre lo chiuderemo per farlo uscire a febbraio. È un momento molto entusiasmante perché quello che facciamo è essenzialmente registrare musica, suonarla dal vivo e parlare con i fan.»
Parlare?
«Sì, sono molto comunicativi e a noi piace tenere il dialogo dal vivo o sui social network. Non siamo mai stati una band politica ma siamo sicuramente una social band. Nel senso che abbiamo un legame stretto col nostro pubblico, ci fanno sapere che le canzoni li hanno aiutati nei momenti negativi e cose del genere. È una bella sensazione ma ci investe anche di responsabilità.»
Avete attraversato indenni dei cambiamenti nel music business davvero epocali…
«Vero, ma siamo molto legati all’approccio da vecchia scuola, di quando i dischi erano degli eventi, tutto doveva essere pronto alla perfezione. Ora con internet è ancora più bello perché a volte leggiamo i commenti e i desideri del nostro pubblico ed è un incentivo a lavorare duro.»
Vi fare influenzare?
«Per fortuna la maggioranza dei commenti sono sempre positivi e c’è bisogno di razionalizzare e capire che non è possibile essere favolosi ogni giorno. Ma è un rischio questo, credere sempre di essere i migliori per il tuo pubblico. Quindi cerchiamo obiettività e rifiniamo le nostre canzoni senza mai farle tutto d’un fiato. È necessario vederle anche a distanza di tempo per capire se funzionano veramente.»
I singoli che sono usciti sono essenzialmente musica disimpegnata. Di questi tempi di che c’è bisogno?
«Quando negli anni 80 tutti guadagnavano e andava tutto bene, a un certo punto è spuntato il Grunge che ha fatto capire che la vita non era straordinaria per tutti. Allo stesso modo oggi l’arte dovrebbe fare il contrario di quello che succede, e cioè essere positiva e far svagare le persone in un momento di tensione continua.»
Gli atttacchi terroristici proprio questo mese hanno minacciato la musica da vicino. Che ne pensate?
«Che non è possibile rassegnarsi e dargliela vinta. Noi vogliamo creare delle celebrazioni, delle feste musicali, vogliamo dire al nostro pubblico che non è solo. E che andare ai concerti può essere una grande forma di condivisione e divertimento.»