Accolto in Italia come il messia della nuova tv, sulla scorta del 10% di share sfiorato da Italia’s Got Talent nella finale dell’altra sera, Simon Cowell è uno di quei personaggi su cui si riversano inevitabili sensazioni contrastanti. Divide il pubblico soprattutto all’estero, fa arrabbiare e sognare (soldi) autori e discografici nei 168 territori dove le sue produzioni tv sono vendute. Cosa ha fatto Cowell di così epocale? Ha inventato i format del talent televisivi che hanno creato Susan Boyle e One Direction. La cultura popolare dovrebbe essergli riconoscente per questo? Non perdiamoci dietro a polemiche, si tratta di intrattenimento leggero che in molti casi, è vero, si trasfroma in fabbrica di sogni. È anche vero che non si può demonizzarlo per aver creato un sistema per cui alcuni mestieri sono completamente scomparsi. Sarebbe come incolpare Steve Jobs della scomparsa dei cd. Forse la verità sta nel mezzo e le intenzioni sono, come dire, semplici.
«Il fulcro su cui ruotano i programmi che invento – ha detto alla conferenza milanese organizzata da Sky Italia – è il talento dei partecipanti. Ci deve essere una commistione di buona impacchettatura, talento, network che ci credono e tanta passione. Ecco perché gli show italiani funzionano. E possibilmente il vostro X Factor è il migliore del mondo». Gongola Andrea Scrosati, content manager non sport di Sky che si è aggiudicato l’unica uscita extra-territoriale di Cowell (che poi ha sbagliato in diretta clamorosamente, dicendo “il vincitore di X Factor…”, ma era Got Talent).
Ben 1,7 milioni di spettatori per la finale del Got Talent italiano per la prima volta su una tv a pagamento nel nostro Paese, condotto da Vanessa Incontrada con una giuria ben equilibrata, non c’è che dire, una storia diversa rispetto alle lacrime mainstream di tante edizioni su Canale 5. La si riunivano le famiglie sotto un tendone da circo in tv, qui a Sky si sono avvicinati giovani smanettoni a caccia della performance di cui parlare il giorno dopo a scuola. Un lavoro di confezionamento cool dove brillava specie Frank Matano, che ha affiancato con ironia di successo Claudio Bisio, Luciana Littizzetto e Nina Zilli, la vera faccia nuova dell’esperimento che raccomanda sempre Cowell: «Non dimentichiamoci che questa è la youtube generation e quindi le esibizioni devono funzionare anche in modo virale sul web». Lezione assimilata, grazie, anche perché Matano arriva da lì, dal web e chi meglio di lui sa riconoscere cosa funziona nei clippini che poi ci si scambia sui social. Ha vinto l’illusionista bresciano Simone Al Ani e per Cowell non ci sono dubbi: «Ho visto tanta preparazione, una grande produzione e tanta bravura. Infatti idealmente penso che gli artisti che escono dai miei programmi possano essere tutti pronti per uno spettacolo a Las Vegas». Da Sky Italia esultano perché la scommessa è stata vinta, con due talent in agenda che fanno “engagement” nei vecchi e nuovi media come nessuno mai prima.
X Factor, ad esempio, che ritorna con una nuova giuria (ultime audizioni a Bologna dal 23 al 25 maggio) per la nona edizione, la più internazionale finora vista da noi. C’è la riconferma di Mika, che sembra tirare un sospiro per l’abbandono dell’ingombrante Morgan. C’è Skin, immagine e voce degli Skunk Anansie, da sempre più famosi in Italia che in patria (Uk). C’è poi la riconferma di Elio e Fedez, che sono il baluardo dell’italianità da poli opposti, certo, ma con sale in zucca. Cantano tutti in questa giuria nuova, che è chiamata per la prima volta a giudicare anche le band tra le categorie (nei Gruppi non ci saranno solo vocal). Speriamo li facciano cantare bene, e soprattutto liberamente.