«Siamo stati insieme, una profezia feroce che per avverarsi aveva bisogno delle ferite di entrambi» Selvaggia Lucarelli
Il nuovo libro Selvaggia Lucarelli edito da Rizzoli si intitola Crepacuore. Storia di una dipendenza affettiva. L’autrice descrive una relazione tossica durata ben quattro anni che l’ha fatta soffrire indicibilmente facendole trascurare anche i suoi affetti più cari. «Quando non eravamo insieme sentivo uno strano disordine emotivo, una specie di febbre, di sete che dovevo placare. Vivevo le mie giornate senza di lui come un intervallo, una pausa dell’esistenza. Mi spegnevo in attesa di riaccendermi quando lo avrei rivisto. Ero appena diventata una giovane tossica, convinta, al contrario, di aver colmato quella zona irrimediabilmente cava della mia esistenza», ha detto Selvaggia Lucarelli durante un incontro organizzato dalle librerie Ubik che noi di Mydreams abbiamo seguito via streaming.
Con grande coraggio, senza fare sconti a se stessa , mostrando le proprie debolezze e fragilità per dare forza e sostegno a tutte le donne, Selvaggia Lucarelli racconta in Crepacuore come un incontro tra un uomo che non vede nulla oltre se stesso e una donna che non vede oltre lui può trasformarsi in una devastante dipendenza affettiva, una patologia a tutti gli effetti che deve essere curata.
Quando hai sentito la necessità di raccontare questo tuo rapporto di dipendenza affettiva con una persona che ti stava letteralmente rubando la vita?
«Non si è mai pronti a raccontare qualcosa di sé, qualcosa di così intimo. Avvertivo però dentro di me il desiderio di condividere questa mia triste esperienza con qualcuno. E questo qualcuno è stata Daria Bignardi a Milano. Le ho raccontato la mia storia. Lei era incredula. Tanti avevano raccontato della loro dipendenza affettiva ma forse in modo superficiale, come una storia infelice che meritava la dignità di un racconto. Io mi sono aperta, mi sono esposta e ho notato che molti si sono identificati nel mio racconto soprattutto quando ne abbiamo fatto un podcast Proprio a me. Mi sono resa conto che un amore non riuscito dà origine alla dipendenza».
Crepacuore è una parola forte che richiama alla mente la morte. Perché proprio questo titolo?
«È vero, si pensa alla morte ma anche al cambiamento. Potevo danneggiare anche mio figlio perché mi sentivo come ubriaca, confusa, piangevo, urlavo, litigavo. Mi è sembrato il titolo più corrispondente al mio stato d’animo di quel periodo perché provavo un dolore profondo ed angoscioso».
Il libro si apre con una frase di Saramago tratta da Storia dell’assedio di Lisbona, la poesia Il vampiro di Baudelaire e ha la prefazione della psicologa Ameya Gabriella Canovi. Molti spunti di riflessione si trovano nelle pagine 24 e 25 dove tu parli di tua madre.
«Si. Mia madre è stata una donna sottomessa, soprattutto da se stessa e dalle sue scelte e, in particolare da un’idea romantica dell’amore che le avrebbe regalato una vita piena e risolta. È stata una donna infelice ed ingabbiata in un matrimonio da eroina shakespeariana. Ho attraversato la sua rabbia per anni, promettendo a me stessa che mi sarei presa tutto quello a cui lei aveva rinunciato. Ma avrei potuto affrancarmi da tutto, tranne che da una cosa: l’imprinting sentimentale. Nella sfera relazionale era quello che avevo respirato, senza realizzarlo. E se negli altri aspetti della mia esistenza, dal lavoro alla vita sociale, stavo agendo per compensazione, in quella emotiva agivo per reiterazione».
Perché si cade nella dipendenza affettiva?
«Non lo so, non sono una psicologa ma credo che queste persone abbiano avuto durante la loro infanzia una scarsa affettività, un forte desiderio di essere amati. I miei genitori mi hanno nutrita e mi piace molto questo termine ma percepivo un vuoto, una freddezza».
Alla dipendenza sottende un certo accanimento. Pensi che accettare di perdere sia l’unico modo per guarire? Come trasformare una sconfitta in vittoria?
«Anche il manipolatore, non voglio chiamarlo narcisista perché è un termine abusato, ha forse bisogno d’amore e questo bisogno genera dipendenza. Sono convinta che si tratti di una guerra persa in partenza fin dal primo momento perché si ritorna con la mente al primo incontro avuto con quella persona pur essendo consapevoli che quel momento non tornerà più, mai più. L’unica cosa da fare è abbandonarsi al dolore. Quando devi disintossicarti devi allontanarti e rimanere distante. Passato il momento di astinenza, piano piano, lentamente si può cominciare a rinascere. Non bisogna rinviare, rimandare il dolore. È necessario lasciarsi investire dal dolore per rinascere. Questa è la vittoria».
Come si può aiutare una persona con dipendenza affettiva? Pensi che se ti fossi rivolta ad uno psicologo, avresti sofferto di meno?
«Anche io mi pongo spesso questo interrogativo. Ho sprecato otto anni della mia vita. Non ero capace di fidarmi, di avere una nuova storia sentimentale. Avevo bisogno di riprendermi la mia identità. Forse andando da uno psicologo avrei guadagnato tempo, avrei sofferto di meno, non so. Ero inaridita».
Leon, tuo figlio, ha chiesto una sera alla persona che vedeva accanto a te: “ma tu sei innamorato di mamma?
«Mio figlio, a soli 4 anni ha fatto una domanda che rivelava un dubbio comprendendo che quello non era amore. Penso che anche il manipolatore sia un dannato perché non sarà mai felice».
Nel libro ci sono tanti aneddoti dolorosi ed umilianti. Mentre scrivevi il libro ne eri consapevole?
«I passaggi più dolorosi da scrivere sono stati quelli che riguardano mio figlio. Ero molto preoccupata del mio rapporto sentimentale, trascurando tutto, anche i miei genitori, gli amici, il mio ex marito. Penso che tutti siano rimasti sorpresi e li ringrazio per la loro generosità nei miei confronti».
Ci spieghi meglio cosa è avvenuto nell’isola di Vulcano?
«Abbiamo fatto una vacanza a Vulcano dopo circa un anno di mancata frequentazione. Pensi di essere finalmente forte e guarita ma la ricaduta è stata terribile. Sono stata male anche fisicamente: febbre alta, placche alla gola. Mi trascinavo infelice e delusa soprattutto di me stessa e il pensiero dominante era quello di non rovinargli la vacanza. Ho toccato il fondo ma allo stesso tempo ho guardato dentro me , ho avuto la certezza del disastro della mia vita e ho trovato la forza di uscirne».
In quei momenti avevi paura?
«Sì, tanta, Avevo paura di non uscirne mai e di perdere per sempre mio figlio».
Cosa c’è in più nel libro rispetto al podcast?
«Molto, tanto di più».