Dal 14 al 19 marzo sarà in scena al Teatro Vascello di Roma “Bersaglio su Molly Bloom” da James Joyce con Maria Luisa Abate, Paolo Oricco, Stefano Re, Valentina Battistone, Virginia Mossi, Daniel Nevoso, Francesca Rolli, Margaux Cerutti, Marco Isidori. Tecniche Sabina Abate, scena e costumi Daniela Dal Cin. La regia è di Marco Isidori.
Non è nostra la scoperta che l’ultimo capitolo dell’Ulisse, lo sconfinato monologo di Molly Bloom, in altro modo non deve essere pensato, e di conseguenza trattato, che come una voluttuosa partitura per la voce. Nostra sarà la responsabilità scenica di rivoltarne il consueto canone psicologizzante, finora prassi regolare delle interpretazioni di questo testo, per arrivare ad un sensazionale concerto prismatico dove le indicazioni e le super implicazioni semantiche e propriamente musicali della lingua joyciana saranno portate a lievitare fino a un diabolico parossismo fonico, eguagliatore in potenza evocativa di quella scrittura poetica. Come di consueto, il segreto interpretativo dell’operazione sta nel titolo. I titoli per noi Marcido rappresentano sempre un indicatore sensibilissimo della direzione drammaturgica che intendiamo imporre all’atto scenico; e stavolta la parola “bersaglio” rivela in maniera scoperta la linea profonda, oserei dire fondante, della nostra versione/traduzione drammatica, in un processo di affondamento nel magma joyciano al termine del quale la vittoria del teatro si espliciti con la limpidezza supplementare del testo riportato. I bersagli esistono per essere colpiti; i bersagli esistono affinché la freccia abbia scritta una via sola di percorrimento per colpirne il cuore, e il dardo, in questo nostro caso, è la volontà artistica d’incidere, con il calore performantico della viva scena, ogni piega del tessuto poetico, fino alla realtà indiscutibile di un’adesione perfetta tra Teatro e Scrittura. Siamo interessati a promuovere la commozione; quella possibilità quasi sciamanica dell’Arte in questione di catturare, attraverso il “sacrificio” dell’attore, il cuore profondo del pubblico per poi usarne i palpiti stessi, affinché la rappresentazione diventi, qualunque sia stata l’occasione drammaturgica generativa, soltanto la certificazione spietata della comune nostra umana, santa riluttanza alle imposizioni utilitaristiche della realtà naturale; perché è proprio dell’esistenza di questa centrale frattura tragica che lo spettacolo deve, almeno secondo noi, saper testimoniare con la sua presenza nella società. Marco Isidori
Uno spettacolo molto particolare e non privo di punti interrogativi. In questo caso non si può dire che la rappresentazione sia bella o brutta; ti porta ad una sensazione di amore o odio e il tutto, a mio avviso, è sicuramente dovuto alla difficoltà di un testo considerato il capolavoro dei capolavori ma che è di difficile interpretazione. Gli attori sono quasi intrappolati come in delle ragnatele e da essi escono dei suoni più che parole e la difficoltà è proprio questa, forse voluta dal regista. Un teatro sperimentale, innovativo, disturbante con un gruppo di attori molto bravi a rendere il “concerto” un urlo giocoso e straziante che rende sicuramente allo spettatore il testo. Molto divertente la figura del maestro d’ orchestra. Uno spettacolo da vedere almeno due volte per comprendere fino in fondo il significato intrinseco e l’intento della messinscena.