Per festeggiare i suoi 55 anni di carriera, Orietta Berti torna in gara al Festival di Sanremo, con il brano Quando ti sei innamorato, per l’Etichetta Starpoint Corporation e la Produzione artistica del M° Enzo Campagnoli. Il brano di Francesco Boccia, Ciro Esposito, e Marco Rettani, narra un amore, una passione che dura tutta una vita. Per la Berti questa è la sua dodicesima partecipazione al Festival, l’artista debuttò nel 1966, al Teatro Casinò, con Io ti darò di più insieme ad Ornella Vanoni, e salì sul palco del Teatro Ariston, l’ultima volta nel 1992, in coppia con Giorgio Faletti, interpretando Rumba di tango. Nella serata delle cover rivisiterà la canzone di Sergio Endrigo, Io che amo solo te, con il quartetto Le Deva. Nel libro Tra bandiere rosse e acquasantiere, Ed. Rizzoli, ripercorre la sua vita e il suo percorso artistico, nel corso del quale ha venduto ben 16 milioni di dischi. Dopo il Festival, uscirà il cofanetto “La mia vita è un film” per celebrare la sua brillante carriera, che contiene sei cd: tre raccolte di successi, un disco con i brani editi degli ultimi anni, un cd di duetti e un disco di inediti.
Tornerà dopo 29 anni in gara al Festival di Sanremo, con il brano Quando ti sei innamorato. Quando ha ascoltato la canzone si è subito rispecchiata nel testo?
«Questa canzone mi è stata proposta tre anni fa, quando cercavo un inedito per il mio cofanetto, che uscirà a metà marzo, ma non pensavo affatto di portarla a Sanremo. Quando ti sei innamorato è la storia di un incontro, che diventa passione e dura tutta la vita, com’è accaduto a me ed Osvaldo».
Questo 71° Festival di Sanremo sarà l’occasione per celebrare i suoi 55 anni di carriera. Sarà un Festival diverso, senza pubblico, senza fan e senza autografi da firmare. Come lo vivrà?
«Sì, sarà un Festival unico, come non lo avevamo mai vissuto, rimarrà nella storia, non ci sarà la ressa davanti all’Ariston, al posto della platea ci sarà l’orchestra e sul loggione ci saranno solo venti fotografi accreditati. Noi artisti pranzeremo e ceneremo in albergo, le interviste saranno online e non potremo fare servizi fotografici, neanche all’esterno».
Proverà sempre la stessa emozione quando salirà su quel palco?
«Sì, il palco di Sanremo fa paura a tutti, ai conduttori e anche agli ospiti, perché solo il pensiero che da casa, milioni di telespettatori stiano seguendo il Festival, emoziona e intimorisce».
Nella serata delle cover interpreterà Io che amo solo te di Sergio Endrigo.
«In passato avevo già interpretato canzoni di Sergio Endrigo. Ero indecisa tra Canzone per te o Io che amo solo te, ma la prima parla di un addio, quindi ho scelto la seconda perché è una canzone positiva, una storia d’amore a lieto fine. Sul palco sarò affiancata dal quartetto Le Deva, quattro vocalist talentuose».
Dopo il Festival uscirà il cofanetto “La mia vita è un film”. Può darci qualche anticipazione sia sui brani editi che quelli inediti raccolti?
«È un cofanetto che racchiude sei cd, di cui tre raccolgono le canzoni del passato, uno contiene le canzoni degli ultimi due anni, il quinto comprende i duetti della mia carriera, tra cui quello con Mauro Coruzzi, in arte Platinette, con Cristiano Malgioglio, e quello con Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale e gli Extraliscio, nel brano Merendineblu. Il sesto disco, invece, contiene venti brani inediti, uniti da un unico filo conduttore, l’amore. Si racconta l’amore di una madre verso il figlio omosessuale, che desidera solo vederlo felice; l’amore nei confronti di un cane che viene abbandonato, che rivede la sua vita vissuta accanto al suo padrone, il quale lo adorava. È una canzone che ho impiegato un anno, per riuscire a cantarla, perché ogni volta mi commuovevo. Il testo recita “io sono un cane… ma so amare più di te”. È vero perché i cani non chiedono niente, regalano il loro affetto incondizionato e non tradiscono mai. In un’altra canzone si racconta l’amore criminale, perché sono troppe le donne umiliate, picchiate ed uccise. E si parla ancora di sentimenti, in una canzone meravigliosa, con la musica del grande Luis Bacalov, e nel brano di Francesco Boccia, che dà il titolo al cofanetto, La mia vita è un film. E infine si narra la mia vita, nella canzone La mia storia tutta in O».
Partecipò al Festival, l’ultima volta nel 1992, al fianco di Giorgio Faletti, con il brano Rumba di tango. Come nacque il duetto?
«Giorgio era un mio caro amico, c’eravamo conosciuti dietro le quinte, di un programma televisivo, ci siamo frequentati nel corso degli anni, ho conosciuto anche sua madre. Quando andava a Roma, in macchina, si fermava spesso da noi a pranzo. Un giorno mi propose di cantare insieme una canzone, mi fece ascoltare Rumba di tango ed accettati subito. Abbiamo trascorso a Sanremo una settimana spensierata, non c’era la tensione delle altre volte, perché Giorgio era sempre di buon umore, con la battuta pronta».
Nel 1967 partecipò al Festival con la canzone Io, tu e le rose, l’anno in cui morì Luigi Tenco. Fu un anno difficile per lei, per il duro attacco che subì da parte della critica. Cosa ha provato in quei momenti?
«È stata una tragedia. La canzone di Luigi Tenco Ciao amore, ciao non era stata ripescata. Quel biglietto di addio, di sicuro, non fu scritto da Tenco. In quel messaggio dichiarava di essersi suicidato, perché avevano mandato in finale la mia canzone Io, tu e le rose, ed avevano ripescato la canzone La rivoluzione, di Gianni Pettenati, invece di Ciao Amore, ciao. Ma non poteva averlo scritto lui. Innanzitutto perché la calligrafia non era la sua, inoltre, uno dei suoi amici più intimi, mi ha confessato che Tenco, non avrebbe mai scritto un biglietto del genere, perché, non era nel suo carattere, in più, c’erano errori di ortografia, che Tenco non avrebbe mai fatto. Purtroppo per un periodo i giornalisti mi hanno attaccato, ma il mio pubblico mi ha sempre sostenuto. E negli anni seguenti, dal ’68 al ’74 ho preso parte alle edizioni di Canzonissima, arrivando sempre in finale. Nel 1969 ero l’unica donna che si classificò in finalissima insieme a Gianni Morandi, Claudio Villa, Massimo Ranieri, Domenico Modugno ed Albano. Per questi 55 anni di carriera devo ringraziare i mie fan e i miei collaboratori, che mi hanno sempre appoggiato e consigliato».
Nella sua autobiografia Tra bandiere rosse e acquasantiere ricorda sua madre Anna Vittoria, un’attivista politica, sostenitrice del Partito Comunista Italiano, una donna forte e coraggiosa.
«Il mio paese Cavriago in cui sono nata, in cui ha vissuto mia madre, era il paese più rosso d’Italia, ed ancora oggi, in piazza c’è il busto di Lenin. Sì, mia madre era una donna dal carattere forte, diversa da me. Io somiglio a mio padre. Ammiravo la mia mamma, quando mio padre è morto in un incidente, ha preso lei in mano le redini della casa. È stata la mia amica, la mia protettrice, una mamma nel vero senso della parola».
Suo padre Mafaldo l’ha incoraggiata a studiare musica e canto. Quale ricordo conserva di lui?
«Era appassionato di lirica, sognava di diventare un tenore, ma ha dovuto interrompere, dopo che suo padre aveva abbandonato la famiglia. E lui, che era il figlio maggiore, ha dovuto lavorare per mantenere i suoi fratelli. Mio padre aveva riversato la sua passione per la musica su di me. Sarei dovuta diventare un soprano, mi fece frequentare una scuola di canto lirico. È stato così, che la mia voce si è formata. Iniziai a partecipare ai concorsi per voci nuove, in quel periodo non era semplice entrare nel campo della lirica. In uno dei concorsi in giuria c’era Giorgio Calabrese, che in seguito mi chiamò e mi chiese di andare a Milano a fare dei provini per le case discografiche. Devo tutto a lui, da allora ebbe inizio la mia carriera».
Riguardo a questo periodo complicato in cui i concerti sono stati annullati. Ha comunque allenato la voce?
«Sì, perché quando non si canta per lungo tempo, la voce va via, quindi alleno la voce con vocalizzi e gorgheggi. Poi prima di salire su un palco ho il mio segreto. Mangio un po’ di peperoncino rosso, perché mi schiarisce la voce».