Francesco Renga è uno dei 26 cantanti protagonisti in gara del prossimo 71°Festival di Sanremo con il brano Quando trovo te scritto insieme con Roberto Casalino e Dario Faini, etichetta Sony Music.
Veterano del palco dell’Ariston, per esserci salito per ben 9 volte dal 1991 con il gruppo dei Timoria presentando il brano L’uomo che ride ( vincendo il Premio della critica istituito apposta per loro) e vincitore nel 2005 con la canone Angelo, non sente affatto il peso degli anni trascorsi non solo nell’aspetto fisico ma anche per estro creativo ed entusiasmo.
Ecco cosa ha detto Francesco durante la conferenza stampa di presentazione: «Tornare a Sanremo non ha mai avuto per me un significato più profondo, non è solo la gioia di tornare su quel palcoscenico, in quel contesto così importante per la musica e per il mio lavoro. Questa volta significa ricominciare finalmente a farlo, il mio lavoro. Significa ripartire con tutto il Paese. Sanremo diventa così il simbolo stesso di una ripartenza del mondo dello spettacolo e un segnale di speranza: la speranza che quest’incubo possa finire il prima possibile». E spiegando la genesi del brano ha aggiunto: «Il testo è costruito sul concetto di oblio salvifico: spesso dimenticare è una forma di protezione che ci mette al riparo da ricordi spiacevoli. Ma ognuno di noi ha qualche ricordo felice nascosto nel profondo del cuore e della mente costituito dalle piccole cose della quotidianità che ci sono care e spesso la realtà è migliore di ciò che pensiamo».
Poi si è passati alle domande.
Qual è, Francesco, il tuo stato d’animo, alla vigilia della tua partecipazione al Festival di Sanremo?
«Sono contento di ritornare a Sanremo, soprattutto in questo momento di emergenza sanitaria. È un periodo assurdo. La pandemia ci ha costretti a restare a casa e ci ha molto limitati. Fare il Festival significa ripartire e dare un segnale forte e chiaro a favore dei lavoratori dello spettacolo. Questa edizione di Sanremo resterà unica, si spera, senza la partecipazione del pubblico ma per noi che facciamo musica è un appuntamento imprescindibile».
Nel brano Quando trovo te, si parla “di una stanza, due sedie,una cena e un film”, una situazione normale, vero?
«Si, questa per me è la normalità. Non sono più un ragazzino che può permettersi una notte brava in discoteca e fare tardi. L’esplosione di un ricordo di una serata tranquilla che ti riporta alla normalità , a gesti quotidiani e poi alla felicità».
Il brano riflette il periodo che stiamo vivendo?
«Certo. C’ è un uomo che cammina per strada ed all’improvviso ricorda qualcosa che aveva dimenticato ani nascosto a se stesso. Noi tuteliamo certi ricordi, soprattutto quelli più intimi, che ci portano ad assaporare la felicità che è fatta di piccole cose: lo sguardo dei miei figli, l’odore di cosa stavi cucinando un giorno,il sorriso della tua compagna…».
Nel periodo del primo lockdown si ripeteva come un mantra “andrà tutto bene” e “ne usciremo migliori”. Credi che ci siamo riusciti?
«Non è andato tutto bene. Quelle parole erano una sorta di augurio e forse ce la stiamo cavando. Abbiamo purtroppo lasciato molte persone indietro tra le quali i lavoratori dello spettacolo che hanno avuto poca attenzione da parte del governo. Migliori? Non lo so. Personalmente questo periodo mi è servito per ritrovare e riscoprire le cose che stavo perdendo, proprio quelle piccole cose che ogni giorno diamo per scontate. Forse abbiamo imparato a condividere il dolore sebbene ognuno nella propria casa. Abbiamo forse maturato una percezione diversa dell’altro perché ne ho condiviso le ansie,le paure e ho potuto dargli una mano».
Quanto c’è della Sardegna nella tua vita?
«Molti ricordi della mia infanzia sono legati alla Sardegna, alle sue tradizioni, ai suoi profumi, alla mia famiglia. Ricordo mio nonno con i pantaloni di velluto e la giacca a quadri che mi svegliava a prima mattina per andare nell’orto e raccogliere le verdure con un carretto trainato da un asinello. Bevevo il latte appena munto e ne ricordo ancora il sapore. Ovviamente questi ricordi sono entrati anche nel brano».
La canzone Angelo ha accompagnato le immagini di Brescia, una delle città più colpite dalla pandemia. Cosa hai provato?
«Brescia era spaventata ma laboriosa e solidale. I vicini ti chiedevano se avevi bisogno di qualcosa, facevano a gare per farti la spesa. Ci siamo sentiti tutti parte di una comunità. Le parole che ci scambiavamo avevano un significato profondo, salvifico».
Come vivi a Brescia?
«Bene. Mi hanno salvato proprio i ricordi belli:amore per i miei figli,amicizia,piccole e grandi cose che ti scaldano il cuore».
I giornalisti che hanno ascoltato in anteprima i brani sanremesi hanno stilato delle pagelle. Che ne pensi?
«Io non do peso ai giudizi , in generale. Ascoltare per una sola volta 26 brani e in fretta non ti consente di esprimere un giudizio sereno. La mia canzone ha bisogno di essere ascoltata più volte e spero che si possa giungere al suo significato artistico più profondo».
Cosa ne pensi delle cover a Sanremo?
«Oltre che cantautore sono un interprete e questo dà una visione a 360 gradi dell’artista. Eseguire una volta in più la canzone va benissimo e fare una cover offre una lettura più ampia».
Sei un veterano di Sanremo. Pensi che il gruppo dei giovani sia avvantaggiato dall’assenza del pubblico perché non abituato ai concerti dal vivo?
«Cantare sena pubblico è molto difficile,nonostante quello che si pensa. L’Ariston è un’esperienza che va vissuta diversamente da un concerto. Non so se i giovani siano avvantaggiati, bisognerebbe chiederlo a loro. Io sono felicissimo di confrontarmi con loro ed essere ancora su quel palco. Anche io ci sono andato da giovane e molti big di oggi sono giovani noti anche al grosso pubblico e preparati».
È vero che l’idea centrale del brano parte da un trasloco?
«Si, lo confermo. Cambiando casa ho aperto degli scatoloni di cose ed oggetti messi alla rinfusa con l’idea di fare una cernita sulle cose da tenere e quelle da buttare. Ho ritrovato i miei diari da adolescente quando mi sentivo un poeta, vecchie foto, cose varie. Scrivere il brano è stato in un certo senso liberatorio ed è venuto fuori il concetto di salvifico oblio».
Chi ti accompagnerà a Sanremo?
«Porterò con me dei libri da leggere e dei capi di vestiario per le interviste. Mi mancheranno i selfie, gli autografi, i fan che mi rincorrono».
Ci puoi parlare della tua prima volta a Sanremo?
«Sicuramente è stata un’esperienza che ha segnato il mio percorso artistico. Ricordo l’entusiasmo e quella vena di follia e di incoscienza. Bisogna andare così per affrontare il palco dell’Ariston, anche con quella voglia di essere ascoltati. Poi ricordo quello più difficile per la perdita di mia madre nel 2000 e quello della vittoria nel 2005. Erano presenti i miei affetti familiari, Ambra, i figli, ero diventato marito e padre. Sono certo che ricorderò bene anche questo Sanremo speciale».
Sei pessimista o ottimista in merito alla situazione attuale?
«Mi sento cautamente ottimista anche se sperimento la mia inadeguatezza ed il mio sentirmi quasi sempre fuori stagione eccetto quando lavoro e sto a contatto con il pubblico».
Riusciremo a dimenticare?
«Non lo so ma sicuramente siamo diversi e spero migliori».
Hai mai nascosto qualcosa di importante nella tua vita?
«A volte si, perché ho difficoltà comunicative. Mi esprimo meglio attraverso le canzoni».
Come ti rapporti con i giovani di Sanremo, li conosci tutti o hai chiesto ai tuoi figli adolescenti?
«I miei figli conoscono tutti ma anche io mi sono informato. Mi sento un loro zio, se non il loro nonno!».
Quando ti sei goduto Sanremo?
«Mi sono veramente goduto Sanremo quando l’ho seguito con i miei figli da casa e Jolanda mi ha dato molti consigli per questo brano. Sono curioso di sapere cosa diranno i miei figli dopo l’esibizione a Sanremo».
Partecipare a Sanremo coinciderà con una tura ripartenza personale?
«Certamente. Cercherò anch’io di essere più inclusivo e solidale».
Quali sono state le tue emozioni nello scrivere questo brano?
«Con Roberto e Dario ci siamo incontrati a Milano e l’abbiamo scritto in appena quattro ore e tutti con una forte tensione emotiva. Poi, ovviamente, lo abbiamo limato, arrangiato e reso degno di Sanremo».
Quali consigli daresti ai giovani?
«Mai perdere l’entusiasmo nei confronti della musica, quella scheggia di follia e di incoscienza».
A chi dedichi il brano sanremese?
« A me stesso, a tutti noi».
Cosa rappresenta per te Sanremo da spettatore?
«Ero molto giovane, ricordo però benissimo Anna Oxa vestita da uomo che cantava Un’emozione da poco e i commenti dei miei familiari dopo l’esibizione. Tutti discutevano sulle canzoni e davano una valutazione».
Pensi di incidere un album a breve anche con dei duetti?
«Non mi sfiora neppure l’idea di fare un album e per quanto riguarda i duetti non escludo collaborazioni ma non decise a tavolino ma nate dalla stima, dall’amicizia reciproca condividendo progetti comuni».
Cosa rivedi di te nei tuoi figli?
«I miei figli rispecchiano le mie due anime: Jolanda è più solare,più artista mentre Leonardo è più orso. Mi spiace che siano stati reclusi in casa, soprattutto mio figlio che è andato in primo liceo ed è quello il periodo in cui costruisci delle grandi amicizie. Mi conforta il pensiero che sono entrambi sereni».