Attore talentuoso e umile è una dicotomia alquanto strana ma possibile quando si parla di Salvatore Cantalupo. Napoletano verace nel sangue e nell anima, cresce col sogno del cinema. Una vita all’insegna del sacrificio, che gli ha dato la possibilità di maturare in lui la capacità di non montarsi la testa. Grande successo di pubblico e di critica con il film “Gomorra”. Dal prossimo novembre sarà impegnato a teatro in un omaggio ad Antonio Neiwiller, a vent’anni dalla sua scomparsa.
Prima di soffermarci sulla tua carriera artistica, facciamo un passo indietro e parliamo della tua infanzia …
«Sono nato in un basso ai quartieri spagnoli, “a muntcalvario” , vico primo del consiglio, una traversa di via Francesco Girardi. Figlio di artigiani, mamma sarta e papà muntator e scarp. Ho ricevuto quell’ insegnamento antico di lavorare e portare a semman a cas. In quei tempi il Teatro Nuovo era un cinema di seconda visione, al pomeriggio si riempiva di quasi tutti i bambini della zona, insieme al cinema Cristallo, oggi Galleria Toledo Teatro, portavo le spese del fruttivendolo per le signore e guadagnavo tanto da poter andare al cinema tutti i giorni.»
Quando hai mosso i primi passi nel teatro e in che modo è iniziato il tuo percorso artistico?
«Negli anni ‘80 suonavo la batteria e facevo parte di un gruppo after-punk poi tante performances nei locali di tendenza che man mano crescevano a Napoli. Il primo passo fu a Spazio Libero di Vittorio Lucariello. Fornace di nuovi gruppi e artisti napoletani.»
Chi è stato il tuo maestro e perché?
«Senza dubbio Antonio Neiwiller. Maestro di vita innanzitutto. Poeta e visionario. Perché mi ha formato, mi ha scelto.»
Tanti anni di gavetta. Il 2008 è l’anno di “Gomorra”. Quanto è cambiata la tua vita da quel momento?
«Dal punto di vista esteriore molto. Per strada e non solo a Napoli mi riconoscono, mi sorridono, mi fermano e mi stringono la mano augurandomi sempre cose belle. Invece dal punto di vista interiore niente. Ho tante cose ancora da imparare.»
Da attore, che tipo di metodo utilizzi per le tue interpretazioni?
«Il metodo di Antonio, essere e non apparire.»
Hai un sogno nel cassetto?
«La pace sul pianeta.»
Che rapporto hai con Napoli?
«Amo la mia città. Mi alimento di tutto ciò che produce. Nel bene e nel male. Partenope sensuale e misteriosa.»
Come costruire la base del mestiere dell’attore?
«Il laboratorio teatrale. Fare l’attore è come fare un mestiere artigianale. C’è bisogno di tempo, determinazione, amore e di tanta umiltà. Un gruppo di lavoro cresce solo se ha il tempo, parlo di mesi, anni. Nel tempo ci si conosce umanamente.»