Roberta Scardola, classe ’86, ballerina, attrice e conduttrice dalla personalità determinata, solare e disponibile, da undici conduce il Social World Film Festival di Vico Equense. Magnetica, Roberta incanta ospiti e spettatori con la sua incisiva presenza scenica sul palco, con voce limpida e chiara scandisce le domande, mai banali, per gli ospiti delle varie serate.
Con lei, siamo tornati indietro nel tempo, alle origini di quello che fu un successo televisivo a tutti gli effetti, la serie Mediaset “I Cesaroni” (2006 – 2014), tramite cui Roberta si presentò al grande pubblico italiano nei panni di Carlotta Alberti, una ripetente dei Parioli trasferita “in punizione” alla scuola pubblica della Garbatella, destinata a diventare un punto di riferimento importante nella vita della giovane protagonista, Eva (Alessandra Mastronardi).
Con “I Cesaroni” cominci a 22 anni prendendo parte alle riprese della seconda stagione. Com’è stato inserirsi da giovanissima in un prodotto mediatico già avviato e, soprattutto, di così grande rilievo?
«Feci i provini dopo l’enorme successo della prima serie e mi preoccupai: ’Non andrà mai bene. Quando c’è tanta attesa su di una serie ti sembra impossibile riuscire a passarli, ma dopo tanti provini, tipo 4 o 5, da sola con attori diversi, con un regista o con l’altro regista, Francesco e Stefano Vicario, all’inizio non mi sembrava vero. Uno dei segreti del successo de I Cesaroni era un gruppo veramente unito, dalla produzione ai cast attoriali e dopo il terzo giorno diventò tutto naturale, ma al primo ero emozionatissima».
Sei entrata da subito affiancando un personaggio dal filone narrativo centralissimo come quello di Eva Cudicini. Hai avvertito un po’ di pressione?
«No, il cinema insegna che la spalla a volte è più importante dell’attore principale, anche in tv, come Bonolis e Laurenti: Laurenti non può essere meno di Bonolis e fa un lavoro eccezionale. Lei era la protagonista assoluta, amatissima, diventavo la sua spalla e avevo una grande responsabilità, perché secondo me le spalle nel cinema e nella televisione hanno un compito ancora più difficile del protagonista, che, però, s’è fatto bene di solito sono più apprezzate del protagonista. Non è questo il caso, Alessandra Mastronardi era meravigliosa e il suo ruolo è stato amatissimo, per certi versi, però, riesci a raggiungere il protagonista sui piani di amore e consenso».
Dato l’enorme successo riscosso dalle stagioni centrali, proprio quelle di cui tu fai parte, hai mai temuto che il tuo talento venisse circoscritto esclusivamente al personaggio di Carlotta?
«Non ci ho pensato mentre giravo la serie, perché era un turbinio di emozioni, di grandissimo successo di pubblico. Quando è finita, dopo che nelle ultime stagioni erano andati via alcuni protagonisti storici, a parte me, Alessandra Mastronardi, Ludovico Fremont, Elena Sofia Ricci, addirittura Max Tortora, c’era stato un ridimensionamento completo. Secondo me era un po’ annunciata questa cosa che non avrebbe avuto gli ascolti di sempre, e quando sono uscita di lì, mi sono detta che fosse il momento di rimboccarmi le maniche.
Non sono una a cui piace pressare per avere il suo ruolo, preferisco che qualcuno mi chiami perché mi vuole e, quindi, mi sono completamente dedicata al teatro, con delle tournée teatrali in tutt’Italia nell’attesa che poi venisse il mio momento di nuovo, così è stato, adesso c’è una serie su Amazon Prime, che ho girato come protagonista, che si chiama “Tutti possono cantare“, e poi prossimamente uscirà anche un film al cinema.
Non mi piace aspettare la chiamata, ma non mi piace nemmeno propormi o impormi, ho fatto la mia strada con il teatro che è stata meravigliosa».
Come hai vissuto l’uscita di scena del tuo personaggio? Ci sono stati dei motivi particolari dietro questa decisione?
«È stata una scelta autoriale, a un certo punto hanno deciso che, dopo le tre stagioni centrali che avevano fatto il boom di share e di consensi, hanno pensato che fosse arrivato il momento di cambiare gli attori o comunque di far uscire di scena quelli storici.
Io l’ho presa male, sono sincera. Non mi è piaciuto, l’ho trovato anche un tradimento verso il pubblico e anche proprio un dispiacere personale, perché secondo me il mio ruolo, insieme a quello di Ludovico Fremont, alias Walter, aveva ancora tanto da poter raccontare».
La stagione finale, differentemente dal format spagnolo, “Los Serrano”, a “I Cesaroni” è mancata una vera e propria stagione conclusiva e, di conseguenza, il famoso epilogo in cui tutta la storia si rivela un sogno del protagonista, Diego (per l’Italia, Giulio). Che cosa ne pensi? Ritieni che il finale italiano sia stato all’altezza di soddisfare le aspettative dei fan?
«Assolutamente no, mi fermano ancora per strada e mi chiedono com’è andata a finire o quell’episodio che voleva dire? Non lo sappiamo nemmeno noi, perché non essendoci una settima stagione, neanche scritta, senza nemmeno il plot, io non lo so.
Sinceramente no, non ha avuto l’epilogo che meritava, questo sicuramente».
La serie è stata riconosciuta come una porta aperta sulla famiglia più famosa d’Italia, traendo il suo successo sicuramente anche dal modo realistico e ironico di trattare i fitti legami di una grande famiglia allargata, nonostante tutto sempre guidata dall’amore reciproco. Ti rivedi in questi ideali? Pensi che, pur essendo un prodotto appartenente a diversi anni fa, in un momento storico complesso come quello che stiamo vivendo, potrebbe ancora avere un impatto positivo sugli spettatori?
«Io ho gli stessi valori, per me la famiglia è al primo posto, sempre, da sempre e per sempre. Potrebbe succedere qualsiasi cosa, cambiare mestiere, diventare mora (che so’ sempre stata bionda!), cambiare i connotati, ma per me la mia famiglia non si tocca, è sacra, di conseguenza, mi rivedo in tutto ciò ed è quello che è piaciuto al pubblico. Anche la famiglia allargata che, adesso, è una realtà importante e che ben venga affrontare questo tipo di argomento. Se “I Cesaroni“ tornassero, avrebbero un successo enorme, girati bene, con una storia forte alle spalle, credo che avrebbero successo, questo non me lo toglie nessuno dalla testa e ne sono sicura.
A maggior ragione se contestualizzati al nostro momento storico, perché con la leggerezza, la comicità, la delicatezza di cui erano contraddistinti, affrontassero magari un tema come il Covid, o come i tanti argomenti che ci sono adesso, la guerra, la crisi, che nun se magna, loro potrebbero affrontare un nun se magna più dentro a sta casa perché nun ce sta più ‘na lira in maniera molto delicata ma incisiva. Secondo me sì, assolutamente, potrebbero essere anche molto funzionali al periodo che viviamo».
Hai una scuola di teatro di successo, pensi di formare una tua compagnia?
«In questo momento no, sono in diverse compagnie con cui faccio diverse tournée teatrali. La mia è una scuola che voglio ancora lasciare a livello amatoriale e didattico, con allievi dai 5 anni fino ai 22 e credo abbiano bisogno della leggerezza della sala, dello studio, della lezione, del mettersi alla prova. Non voglio e non mi sento ancora di incanalarli in una compagnia teatrale. Se vorranno sarò felicissima di consigliarli e fargli fare anche esperienze esterne».
Li indirizzi ai casting?
«Assolutamente sì, ci sono state delle bambine che hanno fatto diverse partecipazioni in alcuni film, i ragazzi grandi lo stesso. Quando posso mi piace che facciano esperienze. Per quello che mi riguarda, gli insegno recitazione e danza, perché vengo da 18 anni di danza e mi piace l’insegnamento, la didattica, mi piace la sala».
Sei come una mamma per loro…
«In un certo senso sì, perché si crea un rapporto di affetto, di fiducia e di amore anche con i genitori e quando hanno qualche problema si fidano molto di me e mi contattano e inevitabilmente ho tanti figli, lo dico sempre, non ne ho uno mio naturale ma ne ho veramente tanti».
Hai lavorato per diverse forme di intrattenimento: cinema, televisione, teatro e sei presente anche in alcuni videoclip musicali. Esiste, tra queste, una forma di spettacolo che senti più affine a te?
«Di sicuro la fiction, nasco con quella, ho fatto dieci fiction come protagonista e ho sempre vissuto di serialità. Se devo parlare di emozioni e sensazioni, allora il teatro, dà un’emozione che non la darà mai nessun film cinematografico o televisivo, assolutamente no, anche nel momento in cui lo giri, non c’è quell’adrenalina, quell’impatto, quell’applauso diretto che non potrà mai essere paragonato ad altro».
In un clima di ripartenza generale che sta finalmente investendo il mondo delle arti e dello spettacolo, come stiamo respirando anche in questi giorni di Festival, dei nuovi progetti che ci hai citato prima, puoi anticiparci qualcosa?
«Sì, assolutamente. “Tutti possono cantare” è la serie uscita ad aprile scorso, prodotta dalla Starlex, nel cast fisse ci siamo io, come protagonista, poi ci sono il mostro sacro di Mariagrazia Fontana e Daniela Loi, entrambe coach di “Tale e Quale”, perché l’idea e lo script sono loro ed io mi sono unita a questa coppia.
La serie parla di un trio che, in maniera disonesta, circuisce ragazzi per togliergli soldi e promettergli l’America, quello che un po’ accade da sempre. S’inventano questa grande accademia di canto, di musica, in cui loro danno più degli altri, ti fanno arrivare più in alto degli altri, ma in realtà è solo per togliere e sfilare soldi ai ragazzi, ma in maniera assolutamente ironica e leggera. Sono intervenute delle straordinarie partecipazioni, come Benedetta Mazza, Matilde Brandi, Niccolò Centioni (dai Cesaroni), Guendalina Tavassi prima che entrasse all’Isola. È una cosa leggera, molto carina di Benedetta Pontellini e Claudia Gatti. Poi il film, sempre targato Starlex, si chiama “3+1 giorni per innamorarsi”, ha avuto un arresto importante con il Covid, adesso stanno cercando di rimettere tutto in piedi e farlo uscire.
Io ho uno dei ruoli principali accanto a Leonardo Bocci, è tutto concentrato sull’amore, tra madre figlia, di una coppia, dell’amore impossibile, l’amore difficile, l’amore omosessuale. Storie d’amore, un po’ alla Love Actually, tutte diverse il cui denominatore comune è Piazza di Spagna, il tutto si svolge lì».