Le risposte di Roberta Carrieri a qualsiasi domanda sono sempre precedute da alcuni attimi di silenzio. La cantautrice pugliese pensa e ripensa sempre bene a ciò che deve dire e, ogni volta, cerca in fondo all’anima le parole giuste per spiegare la sua prospettiva di mondo. L’ho intervistata a pochi giorni dall’uscita del suo nuovo brano “Ragazze Stupide” ed è stato come assistere a un piccolo concerto privato in cui flusso emotivo e note senza forma si sono fusi nel nostro colloquio caricando di significato ogni sua singola risposta.
Iniziamo partendo proprio dal singolo “Ragazze Stupide”, quand’è nato questo brano?
«Questo singolo è nato da una mia particolare reinterpretazione del brano svedese “Stupid Girl” di Miss Lì, che parla di queste ragazze stupide di cui faccio parte anche io. Nella canzone dico che queste famose stupide non sono come me, ma sottintendo l’esatto contrario. Allo stesso modo sembra che parli di ragazze che parlano e ridono troppo forte tanto da far scappare gli uomini, in realtà sottintendo donne dai caratteri intraprendenti che, almeno in Italia, fanno un po’ paura.»
In che senso?
«Il fatto è che in Italia siamo messi abbastanza male, soprattutto a causa della televisione. Il piccolo schermo, infatti, continua a diffondere la figura femminile che come unica audacia ha quella della scollatura, ma non è così. La verità è che esistono tantissime donne forte e intraprendenti che fanno paura a una società che non è abituata a questo tipo di persone. Nonostante l’arguzia e la tenacia femminile, insomma, la donna italiana ha ancora molti passi da fare.»
Parliamo solo di scollatura e perizomi o c’è dell’altro?
«Specifico che le belle presenze non sono un problema fin quando non si esagera, anzi! Io personalmente amo indossare vestiti sexy quando suono e adoro la femminilità che deve essere sempre rispettata. L’importante è tutto il resto. Oggigiorno anche in ambito musicale esistono pochissime cantautrici, nella programmazione musicale dei festival si trovano quasi tutti nomi maschili. Stesso discorso per poetesse e scrittrici. La cosa più assurda? Non esistono ancora le parole per designare alcuni ruoli. Il controllore o il conducente donna come le chiamiamo? Non esiste la parola perché fino a qualche anno fa era impensabile che la donna occupasse quel ruolo ed è questo il concetto sbagliato!»
Pesi molto le parole, non è vero?
«Il linguaggio nasconde la struttura della società. Osservare e studiare il linguaggio vuol dire capire tutto della società, ecco perché sto anche bene attenta a quello che dico e a come lo dico. Inoltre tutto inizia dalle parole che sono la prima forma di comunicazione. A me appassiona la comunicazione che poi non è solo verbale. Quando ero piccola scrivevo le poesie per i concorsi della scuola, poi ho cominciato a suonare la chitarra e quelle poesie sono diventate canzoni …»
La tua carriera però è iniziata prima a teatro, o sbaglio?
«In realtà il mio primo concerto pagato l’ho fatto quando avevo 15 anni: mi accompagnarono i miei genitori, dato che suonai con un gruppo di trentenni. In un secondo momento mi sono innamorata del teatro per cui ho perso completamente la testa! In un terzo momento ho iniziato a suonare nel gruppo “Quarta Parete” che mi ha permesso di unire le due esperienze di canto e teatro. Adesso invece mi esibisco da solista, ma la teatralità fa ancora parte di me e questo è facile notarlo ai miei concerti …»
Pur essendo poliglotta, hai sempre utilizzato solo l’italiano per le tue canzoni…
«In effetti l’italiano è difficile, ci trovi parole come “concomitanza” che sono obiettivamente quasi impossibili da musicare, mentre in inglese si è molto facilitati dalle parole tronche. Però è la mia lingua e non riesco a scrivere versi che in italiano, anche se poi avendo un fidanzato scozzese spesso mi capita di pensare in un inglese quasi inventato oppure anche in greco dato che ho vissuto in Grecia per un po’. Insomma ho una confusione linguistica in testa direi!»
E, insieme a tutte queste lingue, impossibile non ricordare la tua collaborazione con Davide Van de Sfroos: parli anche il suo dialetto adesso? Ma, soprattutto, com’è stato lavorare con lui?
«No, lo capisco ma non lo parlo. Pensa che una volta durante un concerto mi disse una cosa di fronte a un pubblico di più di tremila persone e io non afferrai nemmeno una parola!
Lavorare con lui comunque mi ha arricchito tantissimo. Man mano mi facevo tradurre tutti i suoi testi e ho scoperto che scrive poesie bellissime che mi hanno dato molti input. Lui inoltre è uno sciamano: ipnotizza le folle, ogni suo concerto sembra un vero e proprio rituale collettivo.»
Quali sono i tuoi prossimi programmi?
«Ho una serie di concerti qui in Italia, poi a febbraio 2014 sarò in Francia per un workshop sulla canzone tradizionale del sud Italia. Aggiungerò il francese alle lingue insomma: dovrò tradurre un po’ di cose prima del workshop! …»