«Guardavo la copertina del mio nuovo cd e mi sentivo emozionata come la prima volta che ho visto un mio disco, nel 1962». Così ci accoglie Rita Pavone, 68 anni, alla presentazione del suo nuovo doppio cd Masters, metà in inglese e metà in italiano, tutte cover di successi, a maggioranza americani, del secolo scorso.
Emozionata come al debutto, quindi, a 19 anni dall’ultima incisione. Non aveva detto di ritirarsi? «L’importante è continuare a incidere con una voce dritta e non con un diaframma tremante – scherza lei – e quando mi sono ritirata 9 anni fa l’ho fatto perché davvero sentivo di non essere capita. Non mi proponevano nulla di interessante, specialmente in tv, non mi piacevano gli arrangiamenti, le situazioni. Non c’era posto per me».
E all’indomani di una travolgente partecipazione al programma di Gianni Morandi dall’Arena di Verona («eravamo i due minorenni della canzone e siamo rimasti sempre amici») si può definitivamente dire con certezza che un posto oggi nell’universo pop italiano la Pavone ce l’ha eccome.
Chi se la ricorda sbarazzina e vestita da maschiaccio deve per forza cambiare opinione. «Oggi rifarei tutto ma con maggior controllo. Se fai una commedia musicale deve essere riproposta contestualizzata, altrimenti la gente pensa che vai in giro a cantare Viva la pappa per tutta la vita». Il disco, con gli stupefacenti arrangiamenti di Enrico Cremonesi, che ha lavorato in tv per Fiorello e a Sanremo con i Blastema, non trae in inganno. Non c’è traccia di revival lamentoso, è tutto affrontato con maestria e sapienza, senza l’assillo di piacere a una generazione in particolare. Anche perché il disco la Pavone se l’è prodotta da sola, senza neanche chiedere consigli al marito Teddy Reno con il quale ha la casa di produzione. «Poi l’ho portato alla Sony ed è piaciuto. Ma il lavoro era già stato fatto. Se nel 2011, quando mi è venuto in mente di tornare, avessi proposto la mia idea a un discografico mi avrebbero presa per pazza».
Il peso di una carriera da icona si fa sentire, evidentemente, e schivare la percezione che pubblico e discografia hanno dell’icona, appunto, è un lavoro davvero immane. Che va affrontato con energia, che non manca alla Pavone. «Un’altra me è rappresentata in queste canzoni di Masters, che è un omaggio ai maestri che mi hanno ispirata e che pochi si aspettano da me. Come un regista non può fare la stessa cosa per sempre, anche a me è successo questo. Dopo anni in vacanza a Madrid ero stanca di cantare solo sotto la doccia».
I titoli leggendari del jazz e soul ci sono tutti: Lazy River, All Nite Long, Once Upon a Time, By Myself, Rainin’, I Want You With Me. E la cantante si può permettere anche di chiamare Lina Wertmuller ed Enrico Ruggeri per dei curiosi e attualissimi rifacimenti in italiano di altri classici. Voleva Ennio Morricone ad attualizzare il suo repertorio, e ha trovato Cremonesi, una sorta di Mark Ronson italiano che ha fatto centro con il singolo (un tempo cantato da Elvis) I Want You With Me, programmato anche dalle radio “giovani”. Che succede, la riscossa dei 70enni? «Io avevo deciso che a 60 anni avrei lasciato ma volevo anche lasciare un ricordo diverso di me e forse ci sto riuscendo. Il mondo è cambiato, riconosco che le nuove voci dei talent sono importanti, ammiro Emma o Marco Mengoni. Ma spero sempre che un artista abbia la voglia e il fiuto per migliorare, fare le scelte giuste, cantare quello che si sente».
Con molta probabilità la prima parte del disco, quella in inglese, verrà esportata in Germania, Brasile e forse oltre. Per la Pavone, che aveva raggiunto le classifiche di Billboard grazie a delle esibizioni a Broadway negli anni ’60, è una conferma che la mossa è quella giusta: «Il mio tutor di inglese dice che canto con un accento esotico, ma va bene così. Se rifaccio By Myself che cantava in un film Fred Astaire la devo rendere mia, mi piace troppo rivisitare con il medesimo feeling del passato ma con la sensibilità del momento. La musica ce l’ho dentro e ho una precisa visione di come farla, è la cornice delle mie sensazioni». Si profila anche un tour, ora che l’interesse si è risvegliato, «meglio nei teatri» auspica lei. E un duetto da sogno? «Rod Stewart, che negli ultimi anni ha fatto dischi bellissimi con cover del medesimo genere».