Thomas Otto Zinzi, regista, attore e drammaturgo porta in scena dal 22 al 24 giugno “Ristoro degli Innocenti” al Ristorante Arturo sull’Aurelia Antica di Roma. In questo insolito spazio scenico, accanto a Zinzi, troviamo anche Marco Ubaldini, Guglielmo Frabetti, Giulio Gorissen, Mara De Angelis, Caterina Marri, Laura Juzzolino, Elena Salvati, Eleonora Di Raffaele, Nicole Belli, dieci attori che interpretano i diversi personaggi. La trama si intreccia intorno alle vite dei clienti, alle storie di anime che, sedute ad uno stesso tavolo, si comprendono, si fondono, cercando di dare un senso alla loro esistenza. Così un emigrante, uno scommettitore, una ragazza con il trolley e la moglie del lavapiatti, si ritrovano insieme ai camerieri, al cuoco e al ristoratore Raniero, in grado di fotografare le loro anime. Si incontrano in questo luogo, si ristorano e trasformano la loro fame in un bisogno d’amore e comprensione.
“Le forme dello spazio scenico sono infinite. Infinite è l’anima dell’uomo che diventa attore e che attraverso il pubblico torna uomo”. Su questo pensiero si animano le opere teatrali di Thomas Otto Zinzi. “Ristoro degli innocenti” è la sua ultima creatura, che susciterà negli spettatori quelle miriade di emozioni, che porteranno le anime a rispecchiarsi e a fondersi in una sola.
Ristoro degli innocenti è ambientato nel Ristorante Arturo sull’Aurelia Antica, come è nata la scrittura del testo teatrale?
«L’ispirazione arriva quando trovo uno “spazio scenico” in cui riesco a costruire ed edificare uno spettacolo. Andando a cena nel ristorante storico di Roma, il Ristorante Arturo, ho conosciuto il ristoratore Bernardo Folino e, affascinato da una delle sale, è nata l’idea del progetto teatrale. Ho dato vita ad un testo che vede la partecipazione di dieci personaggi che ruotano intorno al protagonista Raniero, titolare del ristorante, e al suo cuoco. Lo spettacolo inizia con la nascita dell’amicizia tra Raniero e il cuoco, poi, a un tratto si bloccano. Il cuoco non cucina più, prepara solo una mezza torta e resta fermo, fino a quando Raniero non decide riprendere la sua vita, di uscire fuori e ritrovare l’altra metà. Gli altri personaggi con le loro storie, altri essere umani con le loro anime lacerate, ridanno vita a questo luogo, trovando il loro ristoro.»
Il ristorante diventa quindi il “ristoro” per quelle anime che si incontrano, si raccontano e si confortano. Oggi nella nostra società manca il senso di solidarietà. Il messaggio che vuole lanciare sembra evidente.
«Oggi, i nostri occhi sono offuscati. L’uomo comune porta delle luci che non si riescono a vedere poiché sono coperte da grandi ombre, quelle che impongono gli altri. Sì, il mio invito è quello di essere solidali, di dialogare, di abbracciarsi.»
Raniero nella sua sofferenza accoglie questi ospiti, li comprende, legge le loro anime, come se si guardasse allo specchio…
«Queste persone stanno dentro di lui, poi lo spettatore lo dedurrà. Tra questi clienti c’è una ragazza che gira con il trolley, una donna dei nostri tempi senza una meta precisa, che gira il mondo cambiando continuamente lingua e nazionalità.»
Quanto c’è di Thomas in quest’opera teatrale?
«Molto, sia nelle battute che nelle pause. Cerco di dare la parte migliore di me attraverso quello che recepisco dal mondo.»
Quale dei personaggi susciterà un’emozione particolare e lascerà un segno nello spettatore?
«Penso tre: la moglie del lavapiatti che alla morte del marito è stata mandata via dal condominio, perché essendo una donna sola destava preoccupazioni al vicinato. Un viaggiatore scommettitore che porta la sua automobile in giro per l’Italia e in ogni luogo dove si ferma, gioca alle macchinette, vincendo e regalando la sua vincita. Attraverso questo scommettitore indico una strada. A differenza di chi si lacera intorno al gioco delle macchinette, quest’uomo vince e regala, e nelle lucette della slot machine sente delle voci, le richieste di aiuto degli altri. Infine c’è l’emigrante, chiamato scalogno, con un accento misto che racchiude i milioni di emigranti. È un uomo unico, malinconico, che ha percorso migliaia di chilometri a piedi e a cui si allungano le orecchie per la malinconia.»