Nell’estate 2011, in occasione del cinquantenario dalla prima edizione del romanzo Ferito a Morte di Raffaele La Capria, il Napoli Teatro Festival, in coproduzione con Vesuvioteatro e in collaborazione con Teatro Stabile di Napoli e Festival Benevento Città Spettacolo, propose un’interessante mise en éspace dell’opera con Mariano Rigillo, per la regia di Claudio di Palma. Operazione che poi divenne spettacolo per la successiva stagione del Mercadante. Quest’anno, a grande richiesta, il Teatro Nuovo ripropone lo spettacolo (repliche fino a dom. 8 Dic.; tutti i giorni ore 21.00, dom. ore 18.30) nella sua forma originaria di “melologo” – come lo definisce lo stesso Di Palma -, ossia una forma che unisce il monologo e la lettura al concerto per trio, che fa da sottofondo costante alle parole.
Il testo è uno dei capisaldi della letteratura italiana del Novecento. La Capria fa parte di quella generazione di artisti – come la Ortese o Patroni Griffi – che a una Napoli post-bellica preferì trovare una strada per la propria realizzazione altrove (per lo più Roma). Uomini e donne di cultura che non costituirono mai una vera e propria scuola napoletana (troppo diversi i loro percorsi personali) ma che, con le loro opere letterarie e teatrali, fecero scuola, accomunati com’erano da un’unica costante: il rapporto ambivalente di amore/odio, nostalgia/repulsione verso la loro città d’origine, ricca di storia e di bellezza ma che – allora come oggi, purtroppo – aveva ben poche opportunità da offrire. Una città che – per dirla à la La Capria – “ti ferisce a morte o ti addormenta. O entrambe le cose assieme”. E questo è ciò che succede al protagonista del racconto, Massimo De Luca, alterego dell’autore, sempre in bilico e sospeso tra la voluntas di fuggire da Napoli verso Roma e la noluntas apatica, tra il sonno e la veglia, tra la voglia di riscatto e il rimpianto per “la grande occasione mancata” che, nel libro come nello spettacolo, si concretizza nella infruttuosa caccia alla spigola e – parimenti – nella inafferrabile donna del destino, Carla Boursier.
Il romanzo condensa nell’arco di un solo mattino i ricordi di dieci anni, procedendo non in senso cronologico ma per frammenti, come un lungo flusso di coscienza. Questa che è la caratteristica fondamentale dell’opera non viene tradita dalla messa in scena di Di Palma che, tramite l’uso dei velatini e di proiezioni di immagini sfuocate e fasci di luci e di colori – caratteristici, peraltro, degli spettacoli del regista napoletano – ben rende il senso dell’accavallarsi dei ricordi, donando una dimensione onirica al racconto. Del resto, in questa versione dell’opera, la folla di personaggi che abita il libro lascia spazio ai soli ricordi personali del protagonista (presenti solo Gaetano, Ninì , Carla e Roger, ma solo evocati). Di Carla ascoltiamo la voce melodiosa e lontana, prestata dalla bravissima Antonella Ippolito accompagnata dal M° Paolo Vivaldi al piano, anche autore delle bellissime musiche, e da Federico Odling al violoncello e Salvatore Morisco al violino. Il resto lo fa la maestria di Mariano Rigillo che, con la sua sensibilità, la sua esperienza e le sue doti di grande affabulatore, riesce con la sola voce chiara e avvolgente a dischiudere un mondo. L’empatia e l’immedesimazione nel personaggio sono totali, e questo forse anche a causa delle affinità tra la sua storia artistica e quella dell’autore. Uno spettacolo utile non solo per riscoprire un grande testo, ma anche per ricordarci chi siamo e da dove veniamo.
Da vedere.