Un bel recital, quello del soprano Olga Peretyatko, giovedì pomeriggio al San Carlo, per la stagione concertistica 2021-22: accompagnata al pianoforte dal bravo Matthias Samuil, suo fido pianista accompagnatore in tante tournée internazionali, la cantante di San Pietroburgo ha affrontato e attraversato, con molto garbo e notevole sicurezza, ben tre secoli di repertorio belcantistico.
Ella infatti ha spaziato da Mozart (aria “Non mi dir, bell’idol mio” dal Don Giovanni) a Bizet (“Me voilà seule” da Les Pêcheurs de Perles); e da Gounod (“Serenade” e aria “Ah! Je veux vivre” dal Roméo et Juliette”) a Donizetti (“O luce di quest’anima” dalla Linda di Chamounix” e “Com’è bello!” dalla Lucrezia Borgia); senza dimenticare Puccini (lirica “E l’uccellino”), né Gershwin (“Summertime”), né alcune liriche del suo connazionale Rachmaninov, né ancora altri brani piuttosto rari, quali la “Ninna nanna” di Francesco Paolo Tosti e due suadenti “Canções”, piene di esotismo, composte dai compositori brasiliani Claudio Santoro e Altino Pimenta.
Assente dal palcoscenico sancarliano da diversi anni, il ritorno dell’artista russa a Napoli ci ha permesso innanzitutto di apprezzare la sua bella voce, ma anche la tecnica salda, l’espressività e la presenza scenica. Crediamo, infatti, anche a giudicare dai tanti applausi, che il numeroso pubblico accorso abbia subito colto ed gradito la pienezza armonica della voce e l’ottima intonazione, con gli acuti svettanti; e oltre a ciò, che ai più attenti conoscitori siano piaciuti il dosaggio dei volumi sonori, le belle messe di voce, la tecnica pulita, la composta teatralità del gesto e di certa mimica, perché in fondo un po’ di mimica in un recital pure ci vuole, altrimenti si rischia un po’ la noia, anche considerando che si tratta pur sempre di arie d’opera, letteralmente cavate fuori da un contesto che nasce come drammaturgico e narrativo.
Partiamo dunque dalla tecnica, che la cantante russa ha senza dubbio ad alti livelli, come ha dimostrato nelle seconde sezioni, più decisamente brillanti e virtuosistiche, dell’aria di Donn’Anna dal capolavoro mozartiano o in quella dalla “Lucrezia” donizettiana. Eppure, crediamo, non è la tecnica la sua arma migliore, nel senso che essa non è spinta al punto da riuscire eclatante o funambolica; essa semmai è “giusta”, cioè funzionale allo scopo. E qual era lo scopo? Quello che la cantante stessa ha esplicitato verso la fine del suo concerto: ossia di aver scelto da un amplissimo repertorio, a mo’ di filo conduttore per tutta la lunga scaletta, un genere ben preciso, quella della “ninna nanna” o quello ad esso affine della “serenata”, e che in tale genere ha rilevato l’elemento dolce e cullante, o anche quello bucolico. Su questo la Peretyatko ha appunto operato un’attenta scelta per poi inciderci un disco, dedicato alla sua figlioletta appena nata.
Abbiamo trovato lodevole, e non stucchevole, questa candida confessione autobiografica, e sensato l’intento di un progetto artistico come quello sotteso al disco, che sostanzialmente veniva riproposto in questo concerto, dove appunto prevaleva nettamente il gusto per la vocalità spiccatamente lirica, elegiaca, cullante, talvolta mollemente cadenzata, o dolcemente “passeggiata”.
Chiaro, poi, che questo elemento traspariva in alcune pagine di più e di meno in altre, o che non sempre il livello era eccelso: direi per esempio che in Gounod (e in particolare nella Serenade) la cantante è stata superlativa, così come nella breve “Ninna nanna” del Tosti, davvero trascinante; e che davvero ben eseguite sono state anche alcune delle liriche di Rachmaninov, tutte ispirate in senso chiaramente bucolico, e segnatamente il “Vocalise” op. 34, con i suoi caratteristici ampi intervalli, il suo cromatismo e l’impianto tonale un po’ instabile. Meno memorabili, almeno secondo noi, o secondo un istintivo confronto con altre storiche interpreti che avevamo in mente, sono state le interpretazioni donizettiane.
A voler proprio cercare il pelo nell’uovo, forse la dizione lasciava un poco a desiderare, o per esser più precisi, era l’esatta declamazione poetica a perdersi ogni tanto, come se fosse stata un po’ “annegata” nell’intonazione trascinante; il che, intendiamoci, è ben naturale in tutto il repertorio operistico, ma qui forse la scansione consonantica, talvolta, appariva leggermente sacrificata. Il che potrebbe essere un piccolo inconveniente, in un progetto che si fa forte della fusione di musica e poesia, di parole e note.
Non dobbiamo, né possiamo, a questo punto tralasciare un commento sul pianoforte, ottimamente suonato da Samuil, anche perché davvero il “paesaggio” sonoro creato di volta in volta nei vari brani era interamente opera dello strumento (che peraltro spesso sostituiva l’orchestra). Un pianoforte, o meglio un pianista, che si è fatto pure apprezzare come solista in un paio di occasioni, e cioè nella “Elegie” dai Morceaux de fantaisie di Rachmaninov e nel bellissimo Notturno in do diesis minore di Chopin, col suo carattere apparentemente contrastante tra la divagazione melodica della mano destra e gli arabeschi armonici della sinistra.
Tanti applausi, come detto, durante e al termine del recital, da parte di un caloroso pubblico, che è apparso formato in parte anche da giovani: un segnale incoraggiante, che è forse anche il frutto delle politiche di incoraggiamento sul prezzo dei biglietti che il nostro Massimo sta perseguendo.