«Quanto male sei disposto a fare, per fare del bene?» Gianluca Neri
Dal 30 dicembre è disponibile sulla piattaforma Netflix la docuserie SanPa: luci e tenebre di San Patrignano ideata da Gianluca Neri e scritta insieme a Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli per la regia di Cosima Spender che racconta, in cinque episodi, la storia della più grande comunità di recupero per tossicodipendenti d’Europa, nata nella seconda metà degli anni ’70 ad opera di Vincenzo Muccioli (Rimini 6 gennaio 1934- Coriano 19 settembre 1995).
Il progetto, sostenuto ancora oggi dalla famiglia Moratti, aveva in Muccioli il suo guru e nacque sotto i più rosei auspici in un’Italia sconvolta dagli anni di piombo e dal diffondersi della droga di cui, a onor del vero, si sapeva ben poco, se non i suoi effetti deleteri soprattutto tra i giovani che nelle grandi città apparivano come zombie che nessuno voleva vedere perché deturpavano il paesaggio.
I politici di turno di quel periodo guardarono con una certa ammirazione quest’uomo che si faceva carico di un problema di cui forse si doveva occupare lo Stato, grati che la patata bollente venisse gestita da un gruppo di volontari che se avesse sbagliato lo avrebbe fatto sotto la sua diretta responsabilità in modo che lo Stato ne sarebbe uscito indenne e pronto a lanciare sfide ad altre comunità terapeutiche gestite soprattutto dal clero (es. Don Mazzi con Exodus e Luigi Ciotti con il Gruppo Abele ).
Oggi non è cambiato molto. Il consumo di droga in Italia preoccupa ancor meno dell’AIDS e si è ancora divisi sulla legalizzazione della marijuana che potrebbe contrastare proventi e prestigio della criminalità organizzata.
In quegli anni Vincenzo Muccioli godeva di un’enorme popolarità. I giornalisti se lo contendevano per le interviste e non c’era trasmissione televisiva, soprattutto quelle di intrattenimento, in cui non compariva questo distinto signore dal fisico imponente, dalla parlata dalla tipica cadenza riminese, dal sorriso accattivante, dai modi garbati ed intriganti, pronto a farti entrare nella sua comunità per assaggiare un bel piatto di cappelletti in brodo, seduto accanto ad uno dei suoi ragazzi. L’identificazione di Muccioli con la sua creatura San Patrignano era completa ma già da allora ci si interrogava sui suoi metodi per recuperare i giovani drogati in seno alla società civile. Sappiamo con certezza che si faceva abbondante uso di metadone per combattere le crisi di astinenza e che spesso i correttivi si basavano sulla coercizione che prevedeva punizioni corporali e l’uso di catene per i più riottosi. Il personaggio Muccioli ne usciva compromesso e chiacchierato a tal punto che vennero imbastiti due processi a suo carico nel 1983 e nel 1994, un anno prima della sua morte.
Nel primo fu condannato per sequestro di persona e maltrattamenti per aver incatenato alcuni giovani della comunità. La Corte d’Appello però assolse l’imputato per gli stessi reati e la sentenza di assoluzione fu confermata dalla Cassazione nel 1990 (ben 7 anni dopo!). Il secondo processo gli valse una condanna ad otto mesi di carcere e all’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo per l’assassinio di Roberto Maranzano, ucciso a botte nella porcilaia della comunità e il cui cadavere fu trovato nella discarica di Terzigno in Campania, avvolto in una coperta con il marchio San Patrignano.
Attraverso documenti d’epoca, interviste a testimoni tra i quali ci sono il suo ex autista e guardia del corpo Walter Delogu (il padre della nota conduttrice televisiva Andrea che è nata proprio a San Patrignano e ha scritto il libro-autobiografia La collina ) e l’ex capo dell’ufficio stampa Fabio Cantelli e il figlio dello stesso Muccioli, Andrea che guidò la Comunità fino al 2011, si tenta di dare una visione completa di quello che rappresentò San Patrignano in quegli anni e un ritratto a tutto tondo del suo fondatore che resta ancora indefinito tra luci ed ombre.
Siamo consapevoli che l’autore Gianluca Neri si sia mosso in un campo minato fatto di omertà, reticenze, fastidio. Molti si sono sottratti ad essere intervistati, prima fra i tanti Letizia Moratti, che in qualità di co-fondatrice e sostenitrice della comunità avrebbe potuto far luce sui tanti punti ancora oscuri. Insieme a lei Franz Vismara che è stato uno degli amministratori della comunità fin dal suo nascere. Sicuramente altre persone avrebbero potuto dare un contributo alla docuserie come ad esempio il figlio di Paolo Villaggio, ospite per molto tempo della comunità anche se l’autore ha affermato in una bella intervista rilasciata a Selvaggia Lucarelli che la sua testimonianza è stata tagliata per ragioni di spazio.
Poche le donne intervistate e la cosa viene segnalata dai detrattori della comunità che vedono in questo la misoginia e la disparità di trattamento manifestate da Muccioli e forse giustificate in quegli anni quando le donne che si drogavano venivano considerate quasi tutte delle prostitute perché si vendevano per acquistare una dose di droga.
Se ci atteniamo ai numeri la comunità ne esce vincente: dal 1978 ad oggi sono stati ospitati oltre 28.000 ragazzi con una percentuale di recupero del 72 % .
Al termine della visione della docuserie molti gli interrogativi sollevati ai quali non si riesce a dare una risposta esauriente ed esaustiva. Ma forse proprio questa è la forza della serie: suscitare curiosità, porsi domande, esigenza di approfondire. E, in effetti, l’autore ci è riuscito in pieno. Tra acclamazioni e ostilità SanPa: tra luci e polemiche è da giorni al centro del dibattito dell’opinione pubblica. Noi di Mydreams ci auguriamo che esso porti ad una visione quanto più chiara possibile del problema droga in Italia che non può e non deve più essere differito e come nostra consuetudine, per andare alle fonti, vi consigliamo la lettura di: Vincenzo Muccioli La mia battaglia contro la droga, l’emarginazione e l’egoismo Ed.Sperling &Kupfer 1993.