La scrittrice cilentana Monica Acito, classe 1993, ex studentessa a Torino de la Scuola Holden e vincitrice nel 2021 del Premio Calvino con il racconto Amaràvia, ha intitolato il suo romanzo d’esordio Uvaspina (Ed. Bompiani, pag. 405).
Il succo di tale frutto, secondo una credenza popolare è capace di guarire ogni malanno. E Uvaspina è il soprannome del protagonista del romanzo, Carmine Riccio, un ragazzo dai folti capelli scuri e dalla pelle bianchissima e con una voglia rossiccia sotto un occhio che ricorda tale frutto.
Carmine viene da sempre spremuto dalla sorella Filomena le cui sfuriate la fanno somigliare ad uno strummolo ovvero una trottola di legno che trascina con violenza tutto ciò che incontra sulla sua strada. Minuccia intuisce da sempre le fragilità del fratello e ne approfitta, esercitando su di lui un sadico esercizio di potere.
La famiglia Riccio si completa con la madre Graziella detta la Spaiat, nata nel quartiere popolare di Forcella che prima di sposare Pasquale, notaio e presidente del Circolo Posillipo, di mestieri ne aveva due: la prostituta e la prefica e la sua arte era stata sempre quella del chiagnere e fottere.
La comparsa di Antonio, un pescatore dagli occhi di colori diversi a cui piace raccontare i miti e le leggende di Napoli, rende Uvaspina consapevole di se stesso e della sua sessualità spingendolo a desideri e passioni mai sperimentata. La purezza dei loro incontri clandestini che avvengono negli anfratti del famoso Palazzo Donn’Anna, tanto caro a Raffaele La Capria, non resterà nascosta per molto tempo.
Napoli e lo strummolo si accorgeranno di loro, vittima e carnefice si scambieranno i ruoli in un finale intuibile ma non per questo scontato.
Uvaspina è un romanzo che ti cattura sin dalle prime pagine per innumerevoli motivi. I suoi personaggi sono persone che potresti incontrare facendo una passeggiata tra i vicoli e i quartieri borghesi della città partenopea. Sono vivi, autentici ed ogni loro pregio o difetto viene descritto con una serie di aggettivi che spiazzano e consentono al lettore di avere quasi una lente di ingrandimento al fine di catturarne pensieri e fisicità. Di Carmine Riccio apprezziamo il fatto di essere un creaturo innocente e rassegnato, di Minuccia la personalità sanguigna e diabolica, della Spaiata le abitudini come quella di fumare tante sigarette, di avere i capelli con la ricrescita “che ha lo stesso grigio che sta sulle lapidi al cimitero dei Colerosi” e il morire e il resuscitare ogni mercoledì sotto lo sguardo attento e vigile dei suoi figli, di Pasquale Riccio la sua incapacità a fare il padre e l’inettitudine al lavoro di avvocato e di presidente del Circolo Posillipo.
Uvaspina è un romanzo d’amore ma non quello romantico e sognante. É un amore che ferisce e consola, è forte e delicato, pungente e disperato. E Monica Acito lo coniuga in tutte le sue sfumature ed accezioni. Il sentimento amoroso che lega Uvaspina e Minuccia diventa sopraffazione e odio, quello che lega la Spaiata e Pasquale Riccio risente della condizione sociale diversa e della noia, quello tra Uvaspina e Antonio è peccaminoso e salvifico, fatto di baci e carezze proibite e rubate.
Monica Acito trasporta il lettore in una città viva e verace, becera e ammaliatrice, attraverso l’uso di un linguaggio narrativo particolare che mescola sapientemente il dialetto napoletano incandescente e ruvido come la lava del Vesuvio e poroso come il tufo,con la lingua italiana.
Napoli diventa agli occhi di Uvaspina e del lettore divina e diabolica come lo è Antonio mentre i destini di tutti i personaggi sono legati alla cordicella di uno strummolo, di una trottola impazzita.
Uvaspina è un libro da leggere ed è sorprendente pensare che si tratti di un’opera prima. Persino i ringraziamenti sono di una bellezza struggente.
Aspettiamo con ansia un prossimo romanzo che, ne siamo certi, non ci deluderà perché in Monica Acito c’è la stoffa di una grande scrittrice…e che stoffa!
Per invogliare tutti voi alla lettura trascriviamo una parte del primo capitolo.
«Tutti i mercoledì sera, Uvaspina e Minuccia aspettavano che la loro madre morisse […]Graziella la Spaiata se ne stava distesa sul letto di ottone e boccheggiava come una grossa rana pescatrice appena sputata sul bagnasciuga: respirava talmente piano che a volte Uvaspina e Minuccia dovevano passarle le dita sotto il naso per vedere se era ancora viva…».