La strada dell’emancipazione femminile passa anche attraverso le parole e il libro di Michela Murgia “Stai zitta – E altre nove frasi che non vogliamo sentire più”, pag. 128, Ed.Einaudi ne è la prova.
La scrittrice sarda afferma infatti che il nostro modo di esprimerci nei confronti delle donne è alla base per costruire una parità di genere ed eliminare qualsiasi discriminazione.
La genesi di questo libro trova origine in un fatto realmente accaduto alla scrittrice, nel giugno scorso. Intervenuta come ospite a Radio Capital è stata ripetutamente zittita dallo psichiatra Raffaele Morelli. A parte la maleducazione manifestata e il repentino passaggio dal lei al tu, non è giusto che una persona, uomo o donna che sia, venga trattata in questo modo a cui sottende un’evidente mancanza di rispetto e una poca attitudine al dialogo. È evidente che di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva. Il maschio arrogante impone il silenzio alla donna.
Nella prefazione del libro si legge: «Le aree semantiche che definiscono una donna che parla sono quasi sempre denigratorie. Se discorre è chiacchierona, linguacciuta, pettegola. Se ribatte è petulante, stridula, sguaiata, aggressiva». E ancora: «Agli uomini nessuno chiede di tacere le loro riflessioni interiori, anzi sono così sollecitati a condividerle. Invece al sesso femminile è consigliato fermarsi alla fase del pensiero afono».
Oltre a Stai zitta ecco le altre frasi che denotano mancanza di rispetto nei confronti delle donne e sono ben più delle nove del sottotitolo: Brava e pure mamma, Le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne, Adesso ti spiego io, Era solo un complimento, Non sai tenerti un uomo, Dove vai da sola e vestita così? Calmati! Sei una donna con le palle, Te la sei cercata, Sei troppo nervosa: per caso hai il ciclo? A cosa ti serve studiare? Non fare la maestrina! E potremmo continuare all’infinito perché almeno una volta le abbiamo sentite pronunciare e forse non abbiamo detto nulla. Ci siamo voltati dall’altra parte per vigliaccheria o peggio perché non avevamo argomenti per controbattere. E invece bisogna parlarne, discuterne, sottolinearne la pericolosità soprattutto alle nuove generazioni perché il messaggio che veicolano queste frasi non va sottovalutato ma combattuto per una effettiva parità di genere.
Michela Murgia ha un sogno: tra dieci anni una ragazza o un ragazzo, trovando il suo libro su una bancarella, possa pensare sorridendo che per fortuna queste frasi non le dice più nessuno.
Noi di Mydreams abbiamo partecipato ad una diretta streaming organiate dalle librerie UBIK sulla piattaforma Connessioni e che ha visto la partecipazione della scrittrice Michela Murgia che ha dialogato con i partecipanti e risposto a numerose domande.
I suoi libri vengono spesso letti dalle donne. Stai zitta dovrebbe essere letto soprattutto dagli uomini. È d’accordo con questa affermazione?
«In generale il lettore medio è costituito da donne piuttosto giovani. Nel mio caso io scrivo per le donne e mi rivolgo soprattutto a loro. Questo libro, in particolare, è uno strumento di lotta per le donne e l’ho scritto per loro che devono prendere coscienza una volta per tutte della loro forza, delle loro potenzialità. È quasi impossibile cambiare un uomo che ha superato i trent’anni, cambiare la sua forma mentis in un sistema patriarcale come è il nostro. Le donne sono più pronte ai cambiamenti e sinceramente non lo vedo un maschilista che entra in una libreria per comprare un mio libro. Chi non vive quotidianamente la discriminazione non può non avere il desiderio di ribellarsi».
Molte frasi che lei cita nel libro si ripetono per abitudini consolidate. È vero?
«Per promuovere il libro ho incontrato per dieci giorni di fila, dieci uomini diversi tra loro. La prima reazione è stata quella di difesa e poi ciascuno di essi è portato ad analizzare il linguaggio di altri uomini. Non ci avevo mai pensato e faccio un esempio. Se io uomo dimentico il nome di un individuo e mi rivolgo a lui dicendo: Ehi bomber, capo o altro utilizzo un linguaggio che mette in competizione con l’interlocutore. Ecco, è proprio questo che fanno i maschi, le donne no, sono più pratiche e dirette per cui tali modi di esprimersi si ripetono e si consolidano».
Un capitolo è dedicato alla frase “sei una donna con le palle”. Questa frase è indice di emancipazione e di uguaglianza con gli uomini?
«L’emancipazione non coincide con la vittoria di una sola donna, magari con le palle! Generalmente nella letteratura al femminile vengono proposte esempi di donne che riescono nella vita perché belle, piacenti, ma quando riusciremo a valorizzare le imprese delle donne comuni? Rispondere affermativamente a questa domanda sarebbe di per sé una vittoria. Nella trasmissione televisiva Quante Storie condotta da Corrado Augias stroncai il libro Storie della buonanotte per bambine ribelli perché era un catalogo di donne perfette sena mettere in discussione il modello della “vincitrice” premiando l’”eccezione”! Per arrivare all’eccellenza c’è bisogno di un percorso che è molto più faticoso per le donne dal momento che richiede maggiori sacrifici. Io chiamo tutto questo il complesso di Ginger Rogers che deve eguagliare Fred Astaire con i tacchi a spillo. Noi non dobbiamo essere eroiche, noi non dobbiamo essere delle eccezioni perché il prezzo da pagare per noi donne è altissimo. Bisogna mettere in discussione il potere. Se tutto questo serve soltanto a te non è femminismo. Il percorso da fare deve riguardare tutte le donne».
Molte donne non vogliono essere chiamate al femminile es, avvocata, direttrice d’orchestra, ministra. Lei è d’accordo?
«Io so che Elsa Morante voleva essere definita scrittrice per sottolineare la sua femminilità. Si è tanto parlato in questi giorni di Beatrice Venezi che non vuole essere chiamata direttrice d’orchestra bensì direttore. Non entro nelle polemiche ma evidentemente questo è un esempio di come “il potere maschile” prevalga».
Oltre a Stai zitta, qual è il libro che meglio la rappresenta?
«Sicuramente Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna, un saggio socio teologico. A distanza di dieci anni ci sono donne che ancora mi ringraziano. Penso che non esista un solo femminismo perché ognuno parte dalla propria esperienza, dal proprio vissuto. La spinta più forte si è avuta negli anni ’70 quando anche la presenza di un uomo alle manifestazioni di piazza poteva alterare le dinamiche. Oggi non occorre una sorta di benedizione maschile, non ne sentiamo più l’esigenza, siamo più responsabili e forti anche se si combatte per altre cose con modalità diverse. Stefano Massini, lo scrittore che si fa fotografare con la pancia suscita il ridicolo e danneggia l’immagine della donna al pari di un affettato gentleman. Non sono da proteggere, non sono in via d’estinzione».
A che età è preferibile educare i bambini alla parità di genere?
«Prestissimo. Bisognerebbe agire da o ai 5 anni. Consiglio la lettura del libro Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti. I bambini guardano, osservano i comportamenti dei loro genitori. Viene data alle famiglie la libertà di educare i figli a modo proprio mentre manca la volontà politica di predisporre nelle scuole programmi curricolari che insegnino la parità di genere e non solo. Per esempio l’omofobia nasce dal sessismo perché il gay è considerato un traditore del modello di riferimento maschile e questo pre-giudizio trae spesso origine nelle famiglie. L’uomo che stira, che accudisce ai bambini, che cucina o spolvera rinuncia alla mascolinità. I bambini in casa vedono per esempio che il padre legge il giornale sulla poltrona mentre la madre, anche se lavora fuori casa, fa da mangiare, apparecchia la tavola, lava i piatti. Bisognerebbe rimodulare tutto e le famiglie non vogliono farlo».
Un altro capitolo del suo libro è dedicato alla frase: “Non fare la maestrina!”
«Questa frase paradossalmente è la prova che la donna non deve avere ragione se ha ragione! Si riconosce indirettamente alla donna la sua autorevolezza. Ma dico agli uomini di uscire dall’infanzia perché non ci sentiamo maestre e non vogliamo esserlo. Abbiamo il diritto di esprimere le nostre idee! Non c’è volontà inclusiva. Sul lavoro una donna può essere intercambiabile, a casa no. Assurdo. Persino la Cristoforetti ha avuto l’appellativo di Astromamma!».
Può commentare la frase: “A cosa ti serve studiare?”
«La società ti vede solo nel ruolo di moglie e di madre. Consiglio la lettura di Bastava chiedere 10 storie di femminismo quotidiano di Emma Clit con la mia prefazione. Per lavorare come un uomo il carico di lavoro per una donna raddoppia perché c’è anche quello familiare. Gli uomini hanno più tempo libero e questo si riflette sul loro lavoro creando legami di stima e di fiducia magari con colleghi o superiori».
Si riscontra nei testi di alcune canzoni un odio verso le donne. Che ne pensa di questo fenomeno?
«Non parlerei soltanto di oggi. Ricordo la canzone Teorema che diceva: “Prendi una donna e trattala male…” A me piace vedere Fedez che si smalta le unghie insieme al piccolo Leone. Ho fiducia nelle nuove generazioni».