«L’umanità non è che una virgola nel grande Libro della vita» Romain Gary
Il romanzo di Romain Gary, La vita davanti a sé, sta vivendo una rinnovata primavera. Da esso è stato tratto il film omonimo per la regia di Edoardo Ponti con Sophia Loren, premiata con un David di Donatello come Migliore Attrice Protagonista. Il brano Io sì , presente nella colonna sonora del film, ha fruttato a Laura Pausini il premio come Migliore Canzone Originale ai Golden Globe del 2021 e una candidatura all’Oscar. Infine l’omonimo spettacolo teatrale con Silvio Orlando in qualità di protagonista presentato in anteprima al Campania Teatro Festival 2021 e poi al Teatro Mercadante riscuotendo ampi consensi di pubblico e critica.
(Per la cronaca nel 1977 fu girato un altro film per la regia di Moshè Mizrahi con una sorprendente Simone Signoret che vinse l’Oscar come Migliore Attrice Protagonista e il lungometraggio si aggiudicò l’Oscar come Migliore Film Straniero).
Come si legge nella seconda di copertina a firma Stenio Solinas: «Il pomeriggio del due dicembre del 1980 Romain Gary si recò da Charvet, in Place Vandome a Parigi ed acquistò una vestaglia di seta rosa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso coloro che avrebbero rinvenuto il suo cadavere, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo».
Da uno scrittore così tormentato, ex marito dell’attrice americana Jean Seberg, non ci sorprende la trama di uno scritto crudo e doloroso, vero e potente.
Il romanzo infatti vede protagonista Momò, un bambino che viene cresciuto da Madame Rosa in un appartamento al sesto piano di un palazzo nel quartiere multietnico di Belleville, a Parigi.
La donna, un’anziana prostituta ebrea scampata ad Auschwitz, si occupa di crescere i figli delle sue colleghe che per legge non possono tenerli con sé in cambio di soldi.
Momò si affeziona ogni giorno di più alla donna che considera quasi come una madre, unico punto di riferimento sicuro in un ambiente dove viene spesso disprezzato perché arabo e musulmano.
Le condizioni di salute di Madame Rosa si deteriorano proprio quando Momò viene a sapere di essere il figlio di Kadir Youssef che è appena uscito dal manicomio criminale dove è stato rinchiuso dodici anni per aver ucciso la moglie. L’uomo viene colpito da un infarto mentre Madame Rosa muore nello scantinato del palazzo dove la donna ha ricavato un angolo ebraico con una poltrona, un candelabro e altri oggetti di culto.
Momò veglierà la salma di Madame Rosa per ben tre settimane.
Romain Gary, molto prima di Daniel Pennac, di Mahir Guven, di Rachid Djaidani, di Morgan Sportès si è occupato delle banlieues di Parigi e del fenomeno dell’immigrazione e di quella Francia multietnica che stava per cambiare il volto della Ville Lumière. Per fare ciò si avvale del personaggio di Momò, un ragazzino di appena quattordici anni che fa parlare in prima persona dimostrando una maturità sorprendente per la sua giovane età.
La ricerca di un affetto stabile, la voglia di crescere in un ambiente ostile, le preoccupazioni quotidiane legate principalmente allo stato di salute di Madame Rosa, sono espresse con uno stile fattuale, privo di retorica e proprio della periferia parigina.
Un romanzo da leggere e da rileggere, toccato dalla grazia, l’esistenza vista e raccontata con l’occhio innocente ma profondo di un bambino.