«Viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene» Emanuele Trevi
L’ultima fatica letteraria di Emanuele Trevi intitolata “Due vite” (candidato al Premio Strega), pubblicata da Neri Pozza, pag. 128, ripercorre le esistenze di due scrittori troppo poco apprezzati e ricordati: Pia Pera (Lucca 1956-2016) e Rocco Carbone (Reggio Calabria 1962-Roma 2008). Entrambi amici dello scrittore suscitano in lui il rammarico del non detto, del non capito che resta sospeso tra i ricordi, la nostalgia e l’inesorabile scorrere del tempo che porta con se’ l’oblio di ciò che si è perduto per sempre.
Una foto ritrovata nella casa di Rocco, datata 1995 che lo ritrae sorridente insieme a Pia funge da madeleine proustiana per dare vita ai tanti ricordi dell’autore e in particolare, quelli legati ad un viaggio a Parigi, al Musee d’Orsey ed i commenti sul celebre ed ancor oggi scandaloso dipinto L’origine del mondo di Gustave Coubert.
Con una scrittura emozionante e poetica che cattura da subito il lettore, Emanuele Trevi non solo ripercorre la vita breve ma intensa dei suoi amici ma anche la propria arricchitasi grazie alla loro frequentazione.
Noi di Mydreams abbiamo seguito via streaming un incontro dell’autore con Giuseppe Russo, direttore editoriale della Neri Pozzi.
Russo, nel presentare Due vite ha detto che i giudizi sul valore di un’opera sono quasi sempre riservati ai posteri sottolineando che questo non e’ il caso di Emanuele Trevi perché le sue opere rispecchiano i valori della contemporaneità’. Il romanzo e’ costituito da pagine essenziali e vere perché,come ha evidenziato lo scrittore Domenico Starnone, l’autore riesce a circoscrivere la resa del reale e quella dell’immaginario ed i personaggi reali descritti mostrano una verità ed un’autenticità rara che permette alla letteratura di individuare nuove frontiere.
Prendendo la parola Emanuele Trevi ha detto che da sempre gli scrittori tendono a parlare di se’ nelle loro opere. Da Sant’Agostino in poi con le sue Confessioni per arrivare a Paul Auster con il suo libro L’invenzione della solitudine,ogni autore mette se stesso al centro della narrazione. I termini che oggi vengono usati per indicare questa volontà sono: auto/fiction ovvero un’autobiografia con elementi fiction di raccordo per comprimere o dilatare i tempi del racconto sollecitando l’immaginazione del lettore. Trevi si è detto incapace di parlare di cose che non conosce essendo privo di quel potere immaginifico che può stravolgere la stessa realtà. I suoi punti di riferimento restano ben ancorati alla Ricerca del tempo perduto di Proust e alle Memorie d’oltretomba di Chateaubriand.
Per Trevi non ci sono più le grandi narrazioni mitologiche ma l’individuo nella collettività anzi, ciascun individuo riassume dentro di se’ la storia del mondo. Possiamo dire che Sofocle sia stato un antesignano di Freud. La letteratura svolgeva nell’antichità una funzione informativa,vedi Il milione di Marco Polo o il De rerum natura di Lucrezio. Oggi c’e’ una maggiore autonomia degli scrittori ed una reazione soggettiva alle pressioni del mondo esterno. É difficile percepire il noi nella letteratura contemporanea perché c’è una sorta di misticismo individuale. É necessario superare tale soggettività anche attraverso una scrittura puntuale e rispettosa delle regole. Una virgola,un avverbio fuori posto possono travisare il significato stesso della filosofia dello scrittore.
Ritornando al romanzo Due vite,Giuseppe Russo tratteggia a grandi linee le caratteristiche umane e letterarie di Pia Pera e di Rocco Carbone. Emanuele Trevi ricorda la loro amicizia e soprattutto quella con Pera che prima della morte seppe sfuggirla curando il giardino della sua casa con una dedizione ammirevole. Molti la ricordano per questo: sfuggire alla morte staccandosi dal tempo collettivo in un isolamento produttivo.
É la volta poi delle domande dei lettori ed il tono diventa più colloquiale. Trevi ,citando Rilke ha affermato che”due solitudini si proteggono a vicenda” e questo è stato il rapporto dei due scrittori tra loro e la sua stessa solitudine. L’amore per le persone illumina la vita.
Quali libri porterebbe con se’ su un’isola deserta?
«Ipocritamente direi Ramayana perché ho provato un certo benessere nel leggerlo e nel meditarlo.Penso pero’ che anche la lettura di un libro debba essere un’attività sociale».
La narrativa tradizionale italiana si è conclusa con Umberto Eco?
«Il nome della Rosa è un giallo spiazzante. Da studente andai da Sanguineti che mi disse che non avrebbe mai letto il libro di Eco. Uscendo però mi chiese chi fosse l’assassino e io glielo rivelai. Eco è stato un sofisticato intellettuale».
Le imperfezioni degli scrittori possono essere corrette dagli odierni editor?
«Non credo».
Giuseppe Russo: «Se il fine è esclusivamente commerciale, no. Si, invece se si tende a salvaguardare la bellezza di uno scritto con i suoi difetti».
Prossimo libro?
«Non so ancora di preciso, forse su mio padre».
A chi leggerebbe una sua opera ?
«Senza alcuna esitazione dico Flaubert».
Quanto distacco le serve prima di poter scrivere della sua esperienza o delle cose che ha visto o persone che ha conosciuto?
«Rimetto tutto al caso,al fato. La scintilla è casuale come per questo romanzo ovvero il ritrovamento di alcune foto ma poi arriva il momento giusto per raccontare. Nel romanzo ho affermato che l’unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti è appunto cercare la distanza giusta che poi è lo stile dell’unicità di un’opera letteraria».