Dal 30 novembre è nelle sale cinematografiche il film Palazzina Laf scritto, diretto ed interpretato da Michele Riondino al suo debutto da regista. Il film è tratto dal libro Fumo nella città di Alessandro Leogrande recentemente scomparso ed è stato presentato con successo di pubblico e critica alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Taranto 1997. L’operaio dell’ILVA Caterino Lamanna (Michele Riondino)rozzo ed ignorante sta per sposare la fidanzata Anna di origini albanesi (Eva Cela). Entrambi sognano di trasferirsi in città dal momento che la masseria dove abitano è deprezzata a causa della vicinanza alle acciaierie. Approfittando della sua ingenuità , uno dei dirigenti della fabbrica Giancarlo Basile (Elio Germano) lo avvicina con la promessa di farlo diventare caposquadra in cambio di informazioni al fine di individuare lavoratori scomodi e teste calde. Lamanna arriverà ad introdursi nella famigerata Palazzina Laf (acronimo di Laminatoio A Freddo) dove sono rinchiusi ben 79 dipendenti privati delle loro consuete mansioni e ricattati con l’intento di licenziarli.
Caterino Lamanna imparerà a sue spese la lotta di classe e quanto sia difficile vivere senza tradire valori e solidarietà.
Il film ben costruito e diretto è frutto di un lungo e meditato lavoro di ricerca svolto attraverso interviste ad ex operai dell’ILVA e agli ex confinati nel lager della Palazzina Laf nonché di una lettura approfondita delle carte processuali che hanno determinato la condanna degli imputati, il gruppo Riva ed il risarcimento alle vittime di mobbing.
Michele Riondino è capace di trasportarti con la macchina da presa nelle acciaierie ILVA, da sempre sinonimo di degrado e di inquinamento ambientale, raccontando una storia sconosciuta ai più.
Si indugia sui volti degli operai a mala pena riparati da una mascherina puntando la telecamera sulla loro fatica quotidiana. Lo spettatore a poco a poco si accorge della pazzia di alcuni internati nella Palazzina Laf di schiacciare con i piedi i contenitori del latte, di una palla fatta di scotch prontamente sequestrata dalle forze dell’ordine, di un’ interminabile partita a ping pong, delle preghiere e della disperazione di chi medita vendetta, di un orologio fermo da anni, di strade squallide attraversate dal liquido rossiccio dei canali di scolo, della pecora che stramazza al suolo priva di vita, della fermata del bus appena visibile tra rifiuti ed erbacce e di tre piantine di fiori cresciute caparbiamente in barattoli di latta. E lo squallore dei luoghi, ormai terra bruciata, si riflette sui volti dei compagni di sventura privati della loro dignità come lavoratori e come persone.
E in questo racconto corale a dispetto dei padroni si fanno ugualmente strada le lotte sindacali e le storie dei rinchiusi nella Palazzina Laf: Tiziana Lagioia (Vanessa Scalera), Franco Orlando (Gianni D’Addario),Aldo Romanazzi (Michele Sinisi), Angelo Caramia (Domenico Fortunato), Renato Morra( Fulvio Pepe), Pubblico Ministero (Anna Ferruzzo).
Lo stile cinematografico ed attoriale di Riondino lo accomuna ad un Elio Petri e a Gian Maria Volontè o a Giancarlo Giannini.
Le musiche di Teho Teardo belle ed incisive sottolineano i vari momenti della storia narrata a partire dall’inizio con il funerale di un operaio in una chiesa i cui mosaici esaltano il lavoro in fabbrica al pari dei murales messicani di Diego Rivera.
Un piccolo gioiello il brano La mia terra di Diodato, non a caso legato alla città di Taranto come il nativo Michele Riondino.
Un consiglio ai registi che non sanno reinventarsi come attori : state in campana perché i vari Riondino, Cortellesi, Albanese non mollano e possono diventare più bravi e capaci di voi. E lo hanno già ampiamente dimostrato.