«Quando ti metterai in viaggio per Itaca/ devi augurarti che la strada sia lunga/ fertile di avventure e in esperienze…/ Soprattutto non affrettare il viaggio». Costantino Kavafis
Il bambino nascosto, film di chiusura dell’ultima edizione del Festival di Venezia di Roberto Andò e tratto dal suo omonimo romanzo, è approdato nelle sale cinematografiche dal 3 novembre scorso.
Il film racconta una storia tenera, toccante e potente che vede protagonista un anziano professore di musica, Gabriele Santoro (Silvio Orlando) . È un uomo scialbo, solitario, quasi prigioniero nell’appartamento che occupa stipato di libri e di spartiti. È solito declamare alcuni versi mentre si sbarba come quelli della nota lirica Itaca di Kavafis nella scena iniziale del film. E la metafora del viaggio si addice all’incontro che sta per avere con un ragazzino, Ciro (Giuseppe Pirozzi), che si è intrufolato a casa sua per sfuggire alla propria famiglia e alla vendetta della camorra. Infatti, con il suo amico Rosario, ha scippato la mamma del boss De Vivo, riducendola in fin di vita.
Gli avvenimenti si susseguono con ritmo serrato degno di un grande noir. Facciamo la conoscenza di Diego (Lino Musella), un suo vecchio allievo rifiutato dal Conservatorio San Pietro a Majella, ora alle dipendenze di De Vivo che fiuta la presenza di Ciro nell’ appartamento, il suo amante Biagio (Francesco Di Leva) ,il fidato accordatore di pianoforte Nunzio (Tonino Taiuti ).
La Napoli che viene raccontata è quella del rione Materdei, a ridosso della Sanità dove la sola ancora di salvezza per Ciro, è rappresentata dall’appartamento del maestro la cui vita anonima e monocorde non desta sospetti. Sia la madre del ragazzo (Imma Villa) che il padre del maestro, ex magistrato (Roberto Herlitzka) che dice: «Dovessi scegliere tra la legge e l’amore, oggi sceglierei l’amore» sono scettici inconsapevolmente di fronte alla legge che non tutela un legame affettivo di fatto come quello che si realizzerà tra il maestro e Ciro.
Le grandi e comprovate capacità attoriali di Silvio Orlando che cesella con rara maestria il personaggio di Gabriele Santoro, permettono di esaltare la spontaneità del coprotagonista che in effetti è la vera rivelazione del film. Ciro, con i suoi occhi smarriti, la sua apparente scontrosità, il desiderio vivo di nostalgia per sua madre, la sua imitazione di Totò e le sue esibizioni canore sulle note di Nisciun del rapper Luchè, lo rendono indimenticabile.
Il film invita a riflettere sulla società odierna ancora in parte omofoba, omertosa e corrotta. La camorra è una presenza costante anche se viene osservata dalle finestre di una casa rispettabile. Eppure anche nell’oscurità c’è una luce, una via di fuga, una speranza, un modo per cambiare le cose. Ma ci vuole coraggio, tanto coraggio, lo stesso che un anonimo maestro di musica trova per proteggere un bambino.