Già il titolo del suo nuovo disco, Buongiorno L.A. che richiama il celebre romanzo di Jamese Frey di cui è stato avido lettore, offre una buona presentazione di Raige, il rapper torinese, conosciuto come un terzo dei Onemic. La band, in cui militava col fratello Ensi e Rayden, lo scorso decennio aveva fatto parlare molto prima che esplodesse il fenomeno rap in Italia. “Oggi ai ragazzi dico che è meglio studiare che mettersi in testa di fare solo rap nella vita” ci ha detto presentando il disco.
Cosa pensi di questa mania collettiva? Vi fa bene?
«Io non mi sento parte di una scena, ho sempre fatto le cose che mi piacevano e ho ascoltato molta musica diversa, quindi non mi reputo strettamente rap anche se il mio background musicale, come quello di mio fratello, arriva da quel mondo. Il problema è che in Italia il rap si è fatto sempre portavoce delle tematiche sociali perché secondo me è nato male, è nato dalle posse legate ai centri sociali. C’è molta protesta, mentre in America è sempre stata una musica legata alla strada. Io nelle mie canzoni cerco di fare cronaca dell’accaduto quotidiano.»
Sei stato recentemente a un firmacopie a Salerno, che è la patria del nuovo idolo hip hop Rocco Hunt. Che ne pensi?
«Che è un bene perché la Campania in generale, con Milano e Roma, ha partorito sempre cose interessanti da quel punto di vista. È una regione vivace e saluto con piacere questo risveglio.»
Tu stesso in una canzone del disco, Dimenticare, parli delle tue origini siciliane, pur essendo vissuto in provincia di Torino.
«Sì, sono di un paesino di 12mila abitanti ma non c’è nessuna storia di emarginazione in quello che dico. Ho dedicato questo pezzo alla mia famiglia perché lo sentivo, era un tributo per il quale ho chiesto il permesso a tutti, perché poi abbiamo caricato su youtube non un semplice lyric video ma un filmato con le immagini di un vecchio album di famiglia.»
I tuoi sono supporter dei loro due figli nella musica?
«Sì specie mia madre è gasata, salta tutte le file al paese. Non mi hanno ostacolato, devo dire, ho dedicato molta parte dei primi anni a fare musica ma anche a dedicarmi a persone che avevano bisogno di me. Ho attraversato l’Italia in tante città per lavorare, poi ho ripreso la musica. I genitori sono quelli che riconoscono in Ensi il vero rapper, io l’ho fatto per hobby e adesso che ho firmato con la Warner è un vero salto.»
Nei tuoi testi c’è rabbia ma non si scorgono prese di posizioni a livello politico…
«Se lo vuoi sapere a me piace Renzi. C’è molta rabbia, infatti anche il mio nome riprende la parola inglese rage, altrimenti non l’avrei scelta. Prendo l’occasione per dire cose che mi stanno a cuore, come quando dico che non basta mettercela tutta perché il talento senza passione non basta, bisogna superare i propri limiti per farcela nella vita.»
Credi che questo messaggio sia percepito da chi ti ascolta?
«Molti seguono me e mio fratello, altri sono colpiti dal fatto che ho sempre un contatto nella realtà quando canto, anche se a volte con sfumature amare. Credo si percepisca il mio senso di responsabilità.»
Hai duettato con Simona Molinari in Domani è un altro giorno. Come hai scelto questo featuring?
«Non ne faccio molti. L’ho vista qualche anno fa a Sanremo e me ne sono innamorato, perché oltre alla presenza ha anche tanto talento e quel tocco di elitario che appartiene a chi fa jazz. Costruendo il pezzo, dal punto di vista dell’arrangiamento, siamo andati nel suo mondo. Ma a me piaceva che un po’ del suo arrivasse a chi mi ascolta, e secondo me ci siamo riusciti. Abbiamo fatto una canzone interamente suonata con veri strumenti.»
Non sei un assolutista del rap, quindi?
«Macché, mi piace un sacco Annalisa, Max Pezzali. Il rap italiano lo ascolto perché devo capire dove va il filone nel mio paese, ma alla fine ascolto sempre i soliti quattro che mi hanno influenzato, Tormento, Cor Veleno. Poi mi piacciono gli americani, a partire da Jay-Z.»