Un paio di settimane fa sono stata protagonista di un magnifico incontro. Seppur a distanza ho avuto la fortuna di confrontarmi col compositore e pianista Raffaele Grimaldi. Avremmo dovuto semplicemente parlato del suo ultimo disco “An image of eternity” uscito per l’etichetta indipendente Blue Spiral Records e distribuito da Full Heads, ma non sono riuscita a non andare “fuori traccia”. Quando si ha l’opportunità di dialogare con artisti in continua evoluzione come Grimaldi è difficile tenere a freno curiosità e questo perché il primo curioso/che ha cura di ciò che fa e vive è proprio lui.
Ed eccomi qui a condividere con tutti voi il nostro piccolo ma illuminante “discorso musicale”.
Ti occupi da sempre di musica d’avanguardia: non solo attraverso le tue composizioni ma anche scrivendo per un blog Nuthing.eu di cui sei cofondatore. Dai spazio quindi personalmente a una fetta di musica che non viene valorizzata dal mercato musicale. Negli ultimi anni i numeri parlano chiaro: sono triplicati i musicisti, tu come ti senti in questo “mercato”?
«Mi sento molto stranito, vedo che il mondo musicale vive una specie di bluff. Come dicevi tu c’è molta gente che suona, canta e si mette in mezzo. Senza cognizione di causa però non si riesce ad andare avanti. Non è possibile costruirsi una carriera musicale, al massimo può costruirsi quella discografica.»
Qual è la differenza?
«Parliamo di carriera musicale quando ci troviamo di fronte un artista che riesce sempre a rinnovarsi, che ogni giorno ha qualcosa di nuovo da dire come musicista facendo emergere sempre nuovi lati di sé.
La carriera discografica invece viene costruita a tavolino. In questo caso l’artista non ha bisogno di evolversi, ma può tranquillamente ripetersi con lo stesso target di utenti e lo stesso stile musicale.»
Tu sei riuscito a trovare un connubio tra carriera discografica e musicale e l’ultima tangibile dimostrazione è data da questo tuo disco che esula da tutto ciò che hai fatto negli ultimi 15 anni. Com’è nato “An image of eternity”?
«Semplicemente da un mio momento di necessità personale: avevo bisogno di tornare alle mie radici, che sono quelle pianistiche e da qui ecco un disco di piano solo. Come dicevi prima, negli ultimi 14 anni ho affrontato quotidianamente il repertorio avanguardistico sperimentale perché mi sentivo di dover dire qualcosa in quel campo. Adesso volevo far trasparire una parte di me che non fosse solo legata alla sperimentazione.»
Hai completamente cambiato linguaggio direi…
«Esattamente. Il tipo di linguaggio che ho usato fino ad ora era totalmente costruito, con questo disco invece racconto un me diverso e questa cosa mi piace in quanto mi permettere di rimettermi in gioco. Considera che il primo brano di questo cd l’ho scritto a 19 anni, tutti i brani in realtà sono appunti che poi ho tirato fuori un paio di anni fa pensando di farci un disco.»
Trovare parole quando si tratta di piano solo è difficile, però personalmente questo tuo lavoro mi ha evocato un bambino che pian piano scopre il mondo con gli occhi carichi di meraviglia. Nessun brano autoreferenziale (come invece capita spesso), solo pura meraviglia. Nonostante tutto però è possibile riconoscere il tuo tocco, la tua mano.
«Forse hai ragione, molti brani li ho scritti nel periodo quasi post adolescenziale, per cui da lì la meraviglia. Sono felice si senta il mio tocco, non sei stata la prima a dirlo e questo per me è fondamentale. Mi sono occupato di musica sperimentale che di certo non lascia spazio alle sorprese ma anzi è quadrata e radicale e anche per questo non trova spazio nel pubblico. Anche questo disco però è a suo modo sperimentale riesco ad essere “riconoscibile”.»
In maniera silente combatti una lotta silente per la musica senza etichette…
«Io credo semplicemente che il musicista contemporaneo deve essere capace di esprimersi a 360gradi. Secondo me il musicista di oggi non deve settorializzarsi. Stefano Bollani è un esempio perfetto di artista contemporaneo.»
Torniamo però al problema delle competenze: è difficile spaziare come Bollani senza troppe competenze…
«Senza competenze si ha poco futuro, a meno che non ha la capacità di investire su se stessi sotto tutti i punti di vista attraverso tanti sacrifici ed impegni anche economici. I grandi della musica come Brian Eno, David Bowie ci hanno dimostrato che è possibile spaziare da uno stile all’altro e rinnovarsi non solo musicalmente e artisticamente ma anche personalmente.»
Non conosco l’etichetta con cui hai pubblicato quest’album, immagino ci sia una storia dietro…
«E immagini bene: quest’etichetta è nata proprio per questo album. Ovviamente avevo contattato etichette maggiori che erano interessate al mio progetto ma mi hanno chiaramente fatto capire che non avrei avuto la capacità di scelta su molti parametri ed ecco quindi la Blue Spiral Records. Questo disco lo vedevo e lo vedo come mio e non mi andava di regalarlo ad altri, quindi ho cercato di fare il possibile per ottenere quello che cercavo.»
Cos’hai in programma adesso?
«Sicuramente ad aprile partirà un tour, probabilmente ci sarà anche un concerto a New York ma è tutto in fase di lavorazione. Ti dirò che paradossalmente sto già pensando al nuovo disco che spero di far uscire per fine anno o al massimo per l’inizio del 2018.»
D’altronde in questo disco hai raccolto pezzi scritti anni fa, quindi capisco che sia nuovo solo per noi. E cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo lavoro?
«Continuerò con un genere pianistico simile a questo, ma al contempo diverso. Abbiamo parlato di evoluzioni mi pare!»