Quintetto d’archi dei Professori d’Orchestra del Teatro
Il Quintetto d’archi dei Professori d’Orchestra del Teatro formato da: Salvatore Lombardo, violino primo, Giuseppe Navelli, violino secondo,
Luca Improta, viola, Lorenzo Ceriani, violoncello primo, Leone Calza, violoncello secondo ha eseguito il Quintetto in do maggiore D.956:
una delle ultime e più monumentali composizioni di Franz Schubert, il quale sarebbe morto pochi mesi dopo averla scritta, nel novembre 1828, a soli 31 anni.
Con questo concerto si chiude la Stagione da Camera 22/23 del Teatro di San Carlo.
L’esecuzione, diciamolo subito, nel complesso è stata pregevole e formalmente più che corretta;
fermo restando che, forse, qua e là era lecito attendersi qualcosa di più dal punto di vista del coinvolgimento emotivo.
Per spiegare meglio occorre addentrarsi nei dettagli di quest’opera, che è davvero un monumento del repertorio cameristico di
tutti i tempi e che richiede molta concentrazione anche da parte degli ascoltatori, ed esaminarne ognuno dei quattro movimenti di cui è
composta.
L’Allegro ma non troppo ha, fin dalla concezione, sonorità molto bilanciate e al contempo assai lievi e cangianti, una scrittura a tratti
sussurrata e quasi da corale liturgico, aliena, per intenderci, dal protagonismo solistico:
il fraseggio procede spesso (ma non sempre) per coppie strumentali (i due violini, i due violoncelli, la viola), mentre altre
volte il secondo violino esegue in controtempo rispetto agli altri con uno staccato molto caratteristico, e con uno schema poi trasferito all’altro violino.
Qui l’affiatamento, il sincronismo, l’intonazione, la cura delle dinamiche sono tutti ingredienti fondamentali richiesti agli interpreti, i
quali in questo senso non hanno certo difettato.
Tuttavia la fase di sviluppo di questo movimento, che contrasta rispetto all’esposizione, poteva essere affrontata, a nostro parere, con maggior piglio, sia da un punto di vista dinamico che come scelta dei tempi.
E in questo senso, a nostro avviso sarebbe stato appropriato, in generale e un po’ in tutto il concerto, dare maggiore accentuazione ai vari elementi contrastanti e contrastivi insiti nella partitura, e segnatamente a quelli ritmici.
Il successivo Adagio è,
se possibile, ancor più del primo all’insegna della perorazione lirica e struggente: una perorazione, comunque, decisamente anti-retorica, anzi molto intimista e quasi concepita dall’autore per se stesso, più che per gli altri:
pagina sicuramente molto sentita dagli interpreti del concerto, che hanno nell’affiatamento e nella cura dei
dettagli il loro punto di forza;
e che infatti hanno ottimamente reso quel famoso passaggio con il contrasto tra la melodia elegiaca del trio (violino, viola e primo violoncello) e il pizzicato ritmico del duo (secondo violino e violoncello).
Del resto, anche la ripresa finale di questo movimento è un momento davvero topico, con il primo violino che fa un po’ la parte del leone,
eseguendo sia il canto sia il ritmo ottenuto con un pizzicato (molto bravo è stato qui il violinista Lombardo),
così come la conclusione, tutta giocata sui contrasti di tonalità e sui chiaroscuri tonali per cui è famoso l’Autore.
Il Presto e il Trio, seguenti, fanno registrare un netto scarto rispetto al movimento precedente, e questo fin dal ritmo, che è molto più netto e
quasi grossolano:
necessaria all’organico è una grande compattezza quasi marziale, che qui è stata ben assicurata (segnaliamo in particolare la performance dei violoncelli).
Bello anche il successivo passaggio al Trio centrale, con il suo tema pastorale e la sua elaborazione in un contrappunto per note lunghe, che di nuovo ci riportano ad un clima da
corale religioso.
Infine, l’Allegretto, con il suo incipit “zigano” che non può non ricordare quello della “Carmen” di Bizet (successiva, però, di quasi mezzo secolo):
ma in realtà qui è solo un momento di apparente gaiezza (da caffetteria viennese, diremmo),
giacché poi tornano le pensose e alquanto enigmatiche atmosfere del primo tempo della composizione, anche stavolta rese con equilibrio, ma senza mai trascinare.
Il concerto è stato applaudito da un pubblico non numerosissimo ma molto attento e concentrato, nel quale segnaliamo una buona
rappresentanza di stranieri:
questa loro presenza di certo non guasta alle sorti della nostra città, poiché la rende più cosmopolita; così come certo
non guasta al botteghino del nostro San Carlo.