“Io secondo Woody” è il primo lavoro discografico di LePuc, nome d’arte di Giacomo Palombino. Il cantautore napoletano, dopo la formazione in terra natia, ha iniziato ad esibirsi in luoghi lontani dall’Italia, mettendo in musica il bagaglio esperienziale acquisito “sul marciapiede”, come lui stesso ci riferisce. Un album registrato e missato da Rosario Amiro Acunto e distribuito da Edel Italy e Claudio Poggi, lo storico produttore di Pino Daniele. L’etichetta di Io secondo Woody è Apogeo Records. Una raccolta di storie quotidiane che LePuc descrive, come un rifugio raccontato dalle note. Un’energia viaggiante e trasformista la sua, che abbiamo incontrato da vicino.
Io secondo Woody, titolo dell’album, rimanda al regista e sceneggiatore, Woody Allen. È un caso?
«L’idea originaria del titolo era quella di fingere che le storie contenute nel disco e quindi anche chi le canta, fossero osservate dal punto di vista di qualcun altro. Però è vero, il riferimento è proprio a Woody Allen. L’idea è arrivata per caso, chiacchierando con un amico. Mi sono sempre riconosciuto in molti aspetti dei personaggi dei film di Woody Allen, per motivi essenzialmente caratteriali. Inizialmente, in realtà, “Io secondo Woody”, doveva essere il titolo di una canzone. Poi, strada facendo, mi sono accorto che il senso di questo titolo, riguardava tutti i brani del disco».
Cosa porti nel disco della tua esperienza trascorsa a suonare sui marciapiedi d’Europa e nei locali d’Italia? «Tanto, forse tutto. In un certo senso questo è un disco itinerante. O meglio, le storie che racconto, vengono da tanti luoghi. Viaggiando ho avuto la possibilità di sperimentare nuovi punti di vista e questo mi ha aiutato nella scrittura dell’album. Le Puc in effetti nasce in Spagna, dove ho vissuto per un anno. Quindi il cambiamento, il viaggio, forse la curiosità del “vediamo che succede”, sono alla base dell’intero progetto».
LePuc è il tuo nome d’arte, l’altra faccia di Giacomo Palombino. In chi ti riconosci di più?
«Mi riconosco in entrambi allo stesso modo, ma per motivi diversi. Alle volte le strade di queste due entità distinte si incrociano, altre volte sono lontane anni luce. Diciamo che nel corso della giornata passo rapidamente dall’indossare una camicia, all’indossare un cappello. E forse è proprio questa la trasformazione in cui riconosco me stesso. Sbagliando si impara? Io dico che s’impara anche cambiando».
Il progetto discografico porta la firma di Claudio Poggi, lo storico produttore di Pino Daniele. Quanto ti entusiasma? Com’è avvenuto l’incontro tra voi?
«Claudio Poggi è il produttore di Terra Mia. Un disco straordinario che ha cambiato la vita di tanti. Musicisti e non. Avere il suo nome nel mio disco, quindi, è un onore e poter ascoltare i suoi consigli un privilegio. Sai, penso che dietro questo album, si celino tantissimi incontri, molti dei quali fortuiti. In effetti questa è una delle maggiori fortune di chi vive a Napoli tutti i giorni. Dietro ogni canzone, dietro ogni titolo, si nasconde un incontro. Che si tratti di un musicista, che si tratti dell’Apogeo Records ( la mia etichetta), che si tratti di Claudio».
In Io secondo Woody si ha la possibilità di ascoltare un’esplosione di suoni freschi, un insieme di fantasiose note sensoriali. C’è un “unicum” di fondo?
«Ogni canzone rappresenta una storia ed ogni storia ha bisogno di un linguaggio specifico, per essere raccontata. Detto questo, penso che dal punto di vista più strettamente “sonoro” non ci sia un legame fra i pezzi del disco. Ho scelto appunto un linguaggio, a seconda di quello che doveva essere raccontato, a seconda delle note sensoriali, come tu mi suggerisci, che volevo toccare».
Delle undici tracce, colpisce particolarmente I Baci d’estate. Tu da autore ne hai una “del cuore”? «Chiaramente per motivi diversi, sono affezionato a tutte le canzoni del disco. Ma dovendo dare un titolo, in particolare, scelgo “Guarda che so fare”. Questa canzone, è in un certo senso, il manifesto dell’album. Il titolo apparentemente “presuntuoso”, cela incertezze, dubbi, ripensamenti. È una canzone, in realtà, autoironica. D’altra parte, è il racconto di una persona che preferisce inventare una scusa, anziché, saltare e vedere che succede. Per questo motivo è la canzone che apre il disco: Se dopo vengono altre dieci tracce, è perché ho provato a saltare. Stiamo a vedere che succede».