Cristiana Polegri & Roberto Spadoni Ensemble concepiscono “It had better be Henry Mancini”, l’album che omaggia il celebre compositore e direttore d’orchestra statunitense Henry Mancini. Il disco nasce da un’idea della sassofonista e cantante Cristiana Polegri e del compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra Roberto Spadoni. Alla sua realizzazione hanno partecipato, inoltre, Elio (voce), Stefano Fresi (voce), Giovanni Falzone (tromba), Maurizio Giammarco (sax tenore).
Cristiana Polegri
It had better be Henry Mancini, l’album che omaggia il celebre compositore e direttore d’orchestra statunitense, è stato un progetto impegnativo. Quanto è stato appagante per lei, come musicista e cantante? Come ha vissuto quest’esperienza insieme a Roberto Spadoni?
Non si conosce mai fino in fondo un compositore finchè non ci si misura davvero con le sue partiture, i suoi più grandi successi con un approccio più tecnico. Si scopre solo così la genialità e il mestiere che si nasconde dietro a quelle che fino a quel momento erano solo melodie indimenticabili. Condividere questo lavoro con un arrangiatore preparato e fantasioso come Roberto Spadoni è stato per me motivo di grande crescita e quindi di grande appagamento.
Moon River ha conquistato l’Oscar nel 1962 come Miglior canzone. Nel disco It had better be Henry Mancini la canzone è resa ancora più affascinante, dall’intreccio tra la sua voce ammaliante, la tromba e il sassofono. Il brano sembra quasi ricreare l’atmosfera tipica del musical?
Per assurdo Moon River è la canzone che ci ha dato meno pensiero , perché se da una parte è vero che è stata riarrangiata in centinaia di modi, dall’altra parte l’originale nel film si esprime semplicemente attraverso una chitarra e una voce, lasciando a chi decidi di aggiungersi alla lunga lista di arrangiatori totale libertà. L’idea dell’arrangiamento si propone quindi più un tentativo di rimanere omogenei al progetto e alla sua sonorità d’insieme piuttosto che ispirarsi a qualche genere come il Musical.
Com’è nata la passione per Henry Mancini? Una passione che condivide con suo marito, l’attore Stefano Fresi.
Chi passeggia per i sentieri del jazz prima o poi incontra la musica di Henry Mancini, destino che fortunatamente è toccato anche a me. Inoltre la quantità di film resi celebri anche dalle sue musiche hanno accompagnato le vite di tutti noi. Credo che sia uno di quei musicisti di cui sia impossibile non innamorarsi. Per questo, sia io che il mio compagno Stefano amiamo molto questo compositore come, credo di poter dire, tutto il resto del pianeta.
Collabora come docente al progetto Jazz Campus Junior & Kids Orchestra diretta da Massimo Nunzi. Quanto la gratifica l’insegnamento?
L’insegnamento mi gratifica moltissimo, soprattutto quando si tratta di farlo con i più giovani. Essi hanno una capacità incredibile di assorbire tutto ciò che viene loro detto, nel frattempo bisogna avere una grande conoscenza di quello che si trasmette. È una grande responsabilità. È una gioia ed una vera soddisfazione vedere l’entusiasmo e la dedizione di questi ragazzi che sono veramente dei talenti ed essere poi consapevoli che, anche se in minima parte il merito è stato anche il tuo. Per questo non smetterò mai di ringraziare il Maestro Massimo Nunzi che mi ha coinvolta in questa bellissima avventura. Sono sicura che di molti di questi ragazzi si sentirà presto parlare!
Roberto Spadoni
Quanto è stato entusiasmante come musicista, arrangiatore e direttore artistico realizzare l’album “It had better be Henry Mancini”?
È stata una esperienza avvincente, un viaggio meraviglioso in un universo musicale unico. Sono molto grato a Cristiana Polegri per aver avuto questa bellissima intuizione e per averla condivisa con me: grato e onorato, direi! Insieme abbiamo costruito un bellissimo organico includendo strumenti più jazzistici (tromba, trombone, sassofoni) e alcuni più “classici” (corno francese, clarinetto basso, basso tuba) in modo di poter ottenere una ampia gamma di sonorità e di timbri e rendere particolarmente colorata la musica. Oltre agli strumenti, anche i musicisti sono stati scelti con cura, uno per uno, pensando alle loro caratteristiche. E poi i due grandi solisti che si sono uniti a noi, Maurizio Giammarco e Giovanni Falzone, che hanno dato un tocco di classe in più. Infine i due preziosi camei con Elio e Stefano Fresi. Il tutto seguiti, assistiti e prodotti da Parco della Musica Records, una realtà importantissima. Siamo veramente soddisfatti, e forse anche Henry Mancini sarebbe contento di noi!
Cosa l’ha conquistata del compositore e direttore d’orchestra statunitense Henry Mancini?
Questa avventura è stata una occasione imperdibile di approfondire un autore che ho sempre amato. Mi sono reso conto di non conoscerlo abbastanza, quanto merita, e questo mi ha fatto immergere nel suo esteso mondo musicale, scoprendo tantissimi tesori. Di Mancini sono tante le cose che affascinano: la bellezza della musica, la freschezza e la apparente semplicità di tanti suoi temi, la scintillante e sapiente tecnica di orchestrazione e di arrangiamento, l’uso dell’orchestra sinfonica e della big band jazzistica, o di tanti strumenti particolari (come la fisarmonica) e di alcuni veramente rari. E poi l’intensità, il lirismo, l’umorismo, la drammaticità … Si capisce quanto lo adoro?
Tra i brani rivisitati nel disco, Peter Gunn, The Pink Panther Theme e Baby Elephant Walk si contraddistinguono per un’esplosione di fiati. Sono tre brani davvero irresistibili!
Se in luogo affollato inizi a canticchiare o fischiettare uno di questi brani, dopo pochi secondi parte il coro: è un segnale importante, no? Sono brani che fanno parte del patrimonio universale della musica, del cinema, dell’arte del nostro tempo. Proprio per questo sono stati forse i più difficili da affrontare come arrangiatore. In generale, forse in tutto il progetto lo sforzo più grande è stato “smarcarsi” da una presenza titanica come quella di Henry Mancini: farne la semplice imitazione sarebbe stato banale e forse inutile, mancargli di rispetto, un autogol imperdonabile. Ma neanche perderlo di vista, ignorarlo, voltargli le spalle. La sua presenza è rimasta costante. Su ogni brano ho cercato delle chiavi di lettura, lavorando spesso nei dettagli, nei meccanismi interni, per dare una luce speciale che partisse dall’interno. Per esempio, su Baby Elephant Walk la scrittura per la ricca sezione fiati trae ispirazione da certi sound speciali come quelli di Charles Mingus o Jimy Hendrix, e devo dire che il risultato mi piace moltissimo, il brano, come hai sottolineato, diventa esplosivo.
Come ha vissuto la collaborazione artistica con Cristiana Polegri?
Cristiana è una creatura fantastica, umanamente e artisticamente. È una persona sempre attenta agli altri, positiva, entusiasta, passionale, decisa e disordinata, creativa: avere a che fare con lei è veramente stimolante, ti spinge a cercare di tirare fuori il meglio, di essere all’altezza. Artisticamente e professionalmente è impressionante, un concentrato di talenti unico. Se la senti prima suonare il sax e poi cantare ti chiedi: “Possibile che sia la stessa persona?”. E sono solo due delle tante cose che sa fare così bene. Non a caso è sempre in un vortice di attività incredibili, e sempre diverse tra loro: musicista, cantante, attrice, insegnante, speaker, moglie e mamma, amica. Ci conosciamo da molti anni, ma negli ultimi tempi ci eravamo un po’ persi di vista. Uno dei pochi effetti positivi del cosiddetto lockdown (nel 2020) è stato quello di farci rimettere in contatto e lavorare insieme (ma a distanza) su questa bellissima sua intuizione, un progetto su Henry Mancini, Pensa che ci siamo incontrati fisicamente solo un anno dopo l’inizio dei lavori, per gli ultimi ritocchi. Incredibile, no?
Lei è titolare della cattedra di Composizione Jazz presso il Conservatorio Licinio Refice di Frosinone e presso Siena Jazz dove è anche Coordinatore Didattico. Come vive il rapporto con i suoi allievi? È un insegnante esigente?
Ho dedicato e dedico molto tempo e molte energie all’insegnamento e alla divulgazione, è una parte fondamentale della mia vicenda musicale. Al contrario dei luoghi comuni, di quello che ogni tanto si sente dire da qualche vecchia cariatide, i giovani (e meno giovani) musicisti sono pieni di energie vitali, di entusiasmo, di tensioni positive, di voglia di conoscere e di riuscire. E questo per me è un carburante preziosissimo, che mi alimenta da anni. Bisogna essere all’altezza di tanta aspettativa, nei contenuti e nell’energia: questo è il mio sforzo più grande, cercando non solo di organizzare il sapere e la sua trasmissione, ma anche di saziare tanto appetito, di stimolare a un approccio attivo e creativo, a inseguire sempre qualcosa in più di quanto ti sia richiesto, a cercare dentro di se un significato profondo dell’immergersi nel mare magnum della musica. Quindi come è il rapporto con i discenti? Eccezionale, ovviamente! (Mi auguro che sia lo stesso anche per loro).